SCRITTORE CORSARO

Pier Paolo Pasolini, 40 anni senza un intellettuale scomodo

Il 2 novembre del 1975 il poeta e regista veniva ucciso all'Idroscalo di Ostia. Il ministro Franceschini lo ha ricordato con un tweet

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Il 2 novembre del 1975, all'Idroscalo di Ostia, veniva ucciso il regista e poeta Pier Paolo Pasolini. Una morte per molti ancora avvolta nel mistero. Il ministro della Cultura, Dario Franceschini, ha voluto omaggiarlo con un video-selfie postato su Twitter, con un giglio poggiato sul monumento dedicato a Pasolini a Ostia, con in sottofondo la canzone "A Pa'" di Francesco De Gregori.

Nel video si vede l'ombra di un uomo (Franceschini, ndr) percorrere 50 metri di strada, poi una mano che apre il cancello e infine il fiore poggiato sul monumento dedicato dal Comune di Roma allo scrittore corsaro ucciso il 2 novembre del 1975. Uno dei versi della canzone è: "E voglio vivere come i gigli nei campi / come gli uccelli del cielo campare / voglio vivere come i gigli nei campi / e sopra i gigli dei campi volare/ a Pa' / a Pa' /".

Scrittore, regista, giornalista, pittore, poeta. Quel “sacco di stracci” – come lo definì un testimone oculare – ritrovato all'idroscalo di Ostia all'alba del giorno dei morti del 1975, era il corpo di uno degli intellettuali più brillanti della storia italiana, relegato fin da subito nel ghetto socio-culturale del “rifiuto”, dello “scomodo”. Per questo, a quarant'anni dalla sua morte, parlare di Pasolini fa ancora male. Della “disperata vitalità” che ha accompagnato la sua vita di artista e di uomo amante della vita è rimasto l'ultimo, dilacerante messaggio – quasi un presagio - racchiuso nella sua ultima intervista, rilasciata a “Tuttolibri”:

“Non vi illudete. E voi siete con la scuola, la televisione, la pacatezza dei vostri giornali, voi siete i grandi conservatori di questo ordine orrendo, basato sull'idea di possedere e di distruggere. Beati voi che siete tutti contenti quando potete mettere su un delitto la sua bella etichetta. Non potendo impedire che accadano certe cose, si trova pace fabbricando scaffali”.

Pasolini regista: dalla “fuga” dal Friuli ai ragazzi di vita – Quando nell'agosto del 1961, alla 22esima Mostra del cinema di Venezia, viene presentato fuori concorso Accattone, opera prima di Pier Paolo Pasolini, il regista 39enne ha alle spalle una ventina d'anni di attività letteraria e una decina di frequentazione dell'ambiente cinematografico romano. A Roma era approdato “rocambolescamente” nel 1949, al termine di una vera e propria “fuga” da Casarsa, nel Friuli, il paesino della famiglia materna. La fuga, un trasloco organizzato in fretta e furia con la madre Susanna Colussi, seguiva di un paio di mesi la prima traversia giudiziaria subita dal poeta: un processo per atti osceni in luogo pubblico e corruzione di minorenne, che gli aveva fruttato l'espulsione dal PCI per “indegnità morale e politica” e il licenziamento dalla scuola media in cui lavorava. Era solo l'inizio dello “scandalo” Pasolini: nell'inverno del '49 la sua omosessualità divenne un “fatto ufficiale” che avrebbe segnato per sempre la sua vita.

Approdato a Roma, poverissimo, Pasolini prosegue l'attività letteraria e le collaborazioni con riviste. L'incontro con il cinema avviene dapprima come sceneggiatore: nel 1954 Mario Soldati lo invita a collaborare allo script de La donna del fiume. Nel 1956 è invece Fellini a volere la sua firma sulla sceneggiatura de Le notti di Cabiria, come revisore della parte dialettale romanesca. Sono gli anni anche dei grandi romanzi e delle raccolte di poesie: da Ragazzi di vita (1955) a Le ceneri di Gramsci (1957) a Una vita violenta (1959). La decisione di dedicarsi all'attività di regista cinematografico è maturata, secondo lo stesso Pasolini, per “esprimersi in una tecnica diversa, di cui non sapevo nulla e che imparai in questo primo film”.

“Io sono arrivato al cinema – ha aggiunto – dalla letteratura, e quindi assolutamente privo di preparazione tecnica. Addirittura, quando ho cominciato a girare il film, non sapevo la differenza tra panoramica e carrellata, né come si usassero gli obiettivi della cinepresa”.

Lo stile filmico di Pasolini divenne subito riconoscibile: inquadrature “sgrammaticate”, attori non professionisti, scene di vita di borgata, utilizzo del dialetto o, meglio, del romanesco. Accattone, montato in fretta e furia per la presentazione a Venezia, divenne il primo film nella storia della cinematografia italiana a essere vietato, con apposito decreto, ai minori di 18 anni.

Da Mamma Roma a Salò - Ma la critica alla società italiana e al perbenismo borghese era soltanto agli inizi. A pochi mesi dall'uscita di Accattone, Pasolini gira Mamma Roma, che segna l'incontro del regista con la grande Anna Magnani, e più in generale con attori professionisti affiancati ai “personaggi” pescati per la strada. La storia tragica di una madre e di suo figlio, cittadini dimenticati della “seconda Italia” bistrattata e povera, era il preludio di un altro film, La ricotta, girato nel 1963 e inserito nella pellicola a episodi RoGoPaG. Il protagonista è ancora un pezzente sottoproletario, dall'emblematico nome di Stracci, che si presta come comparsa in un film sulla passione di Cristo e che alla fine, “un po' per finzione un po' in maniera reale”, viene crocifisso. Al film partecipa anche Orson Welles nei panni del personaggio del regista.

Dopo è la volta dei “saggi in forma di film”: La rabbia, Comizi d'amore e Sopralluoghi in Palestina, nei quali l'autore sperimenta nuove forme dello sguardo e nuovi approcci all'arte cinematografica. La pellicola diventa un bloc-notes, un mezzo per “scrivere” con le immagini e denunciare la realtà. Il messaggio è pressoché unitario: “Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti i contadini e gli artigiani, quando l'industria avrà reso inarrestabile il ciclo del consumo, allora la nostra storia sarà finita”.

Nel 1964 Pasolini gira Il Vangelo secondo Matteo e l'anno seguente comincia a lavorare a Uccellacci e uccellini. E' il momento della sua maturità di regista e uomo di cinema. La prima pellicola non frenò le accuse di vilipendio alla religione inaugurate con La ricotta, mentre la seconda tratta della crisi politica del PCI e del marxismo in chiave “ideocomica”, con il grando apporto di un Totò sottratto al codice del “pagliaccio principe della risata” e autore di una grande prova d'attore. Dopo è la volta di due film “corti”, definite due favole contro il senso comune: La Terra vista dalla Luna e Che cosa sono le nuvole?. Anche in questi il duo protagonista è composto da Totò e Ninetto Davoli. Seguono Edipo re (1967), Teorema (1968), Porcile (1969), Medea (1969, con la grande Maria Callas) e la Trilogia della vita: Il Decameron (1971), I Racconti di Canterbury (1972) e Il Fiore delle mille e una notte (1974).

Oltre la fine del mondo: da Salò a Porno-Teo-Kolossal – L'ultimo film realizzato da Pier Paolo Pasolini è Salò o le centoventi giornate di Sodoma (1975), considerato uno dei più scioccanti e controversi della storia del cinema. La storia, suddivisa in quattro parti, è ambientata tra il 1944 e il 1945 nel nord Italia occupato dai nazifascisti durante il periodo della Repubblica di Salò. Prima di morire, Pasolini riuscì tuttavia a dare il via alla lavorazione di un altro film, poi rimasto incompiuto: Porno-Teo-Kolossal. Come protagonisti il regista scelse Eduardo De Filippo e, ancora una volta, l'inseparabile “ragazzo di vita” Ninetto Davoli.

Nello stesso periodo in cui lavorava a questo film e al suo ultimo romanzo Petrolio, anch'esso incompiuto, Pasolini scriveva, nell'ultimo intervento pubblico della sua vita (poi mai pronunciato) in occasione del congresso del Partito Radicale: "Contro tutto questo voi non dovete far altro che essere voi stessi: il che significa essere continuamente irriconoscibili. Dimenticare subito i grandi successi: e continuare imperterriti, ostinati, estremamente contrari, a pretendere, a volere, a identificarvi col diverso. A scandalizzare. A bestemmiare".