SOS LAVORO 2015

Lavoro, l'estero attrae sempre più talenti che fanno le valigie già dall'università

Il 61% dei giovani italiani è pronto a emigrare in paesi che offrono più occasioni La storia di Marco: dall’Erasmus al ruolo di manager del fotovoltaico in Polonia

© tgcom24

Nove. Tante le persone che nella lontana Katowice sono sotto la guida dell'ingegnere 32enne Marco Cillepi. Di origini siracusane, oggi è Team Leader per Capgemini Business Process Outsourcing Poland. In parole semplici si occupa di fornire il servizio tecnico, pre e post vendita per i Partner Europei a una delle più importanti compagnie del settore Fotovoltaico a livello mondiale. Se fosse rimasto in Italia difficilmente sarebbe riuscito a ricoprire una pari responsabilità alla stessa età e in tempi così brevi.

Con un filo di rammarico Marco racconta a Tgcom24: “Da molti anni ormai i neolaureati vengono scartati o sono costretti a fare altro a causa della mancanza di esperienza. Questo però, non succede in Polonia, un Paese nel quale molte società internazionali sono alla ricerca di profili senza esperienza e sono ben contenti di formare e investire chi conosce le lingue straniere e vuole cimentarsi in nuove sfide”.

Una laurea in Ingegneria Civile conseguita al Politecnico di Milano e un Master in Energy & Environment, Marco racconta che la sua avventura all'estero è nata grazie a un periodo di studio in un'altra nazione: “Ho avuto la possibilità di vivere una magnifica esperienza Erasmus presso la Tallinn University of Technology, in Estonia. Subito dopo sono entrato in contatto con la splendida realtà di Erasmus Student Network e grazie a questa bellissima associazione ho avuto modo di rimanere in contatto con l'ambiente internazionale e aiutare altri studenti prima a Milano e poi a Catania, dove mi ero trasferito dopo aver terminato la Laurea Specialistica. L'Erasmus mi ha fatto capire quanto importante fosse l'aspetto internazionale e la conoscenza di altre culture e mentalità, quindi ho subito iniziato a candidarmi per posizioni all'estero. Al primo tentativo, dopo tre colloqui in inglese, ho ricevuto l'offerta di andare a Katowice e lavorare come in Capgemini, sembrava interessante, ho fatto la valigia e in due settimane la mia avventura cominciava".

Mandare il cv, fare un colloquio ed essere assunti. Un miraggio per tanti giovani italiani che continuano a inviare cv a destra e sinistra spesso senza ricevere in risposta nemmeno un cortese “grazie, le faremo sapere”. Marco invece, ha potuto realizzare il proprio sogno accettando di fare le valigie e andare all'estero: “Mi trovo attualmente nella posizione che ho sempre sognato - continua. - L'ambiente è davvero stimolante e ogni giorno ci sono nuove sfide da affrontare. Spero un giorno di poter gestire la mia azienda ed essere in grado di contribuire direttamente allo sviluppo del mio team. Il sogno è quello di poter gestire la società online così da poter viaggiare e lavorare da qualsiasi località del mondo. Tornare in Italia? Adesso non saprei dire se e quando lo farò. Mi trovo molto bene in Polonia, ma ovviamente non escludo niente. Mi manca tantissimo la nostra cucina, il pesce fresco in particolare, ma certo non l'assenza di internazionalità e le cattive abitudini tipiche del mercato del lavoro di casa nostra. Per esempio quella di pretendere dai dipendenti lo straordinario o lo stesso impiego non retribuito. Penso per esempio ad alcuni amici avvocati costretti a lavorare gratis o a cifre irrisorie per i primi anni. Questo certo non mi manca".

Un esercito in fuga

Quella di Marco Cillepi non è una storia isolata. Sono sempre di più gli studenti che partono per un Erasmus e poi non tornano più in Italia. Nove giovani su dieci sono convinti che andarsene dall'Italia sia divenuta una vera e propria necessità per trovare adeguate opportunità di lavoro. Con questi numeri il fenomeno della fuga all'estero dei cervelli junior non è più l'eccezione, ma un trend preoccupante. È quanto emerge da un recente (luglio 2015) studio del Rapporto Giovani sul tema "mobilità per studio e lavoro". L'indagine è stata promossa ed elaborata a partire da un panel di 1.000 giovani tra i 18 e i 32 anni dall'Istituto Giuseppe Toniolo in collaborazione con l'Università Cattolica e con il sostegno di Fondazione Cariplo e di Intesa Sanpaolo.

I dati di questo documento ci dicono che l'83,4% degli intervistati è disposto a cambiare città stabilmente per trovare migliori possibilità di lavoro e di questi ben il 61,1% si dichiara disponibile a cercare lavoro all'estero. E tra chi è disponibile ad andare all'estero, oltre uno su tre sta concretamente valutando la possibilità di farlo entro il 2016.

I paesi che i giovani italiani considerano più attrattivi come esperienza di lavoro sono nell'ordine: Australia, USA e Regno Unito. Assieme raccolgono oltre la metà delle risposte (il 54,8%). Si tratta di paesi che oltre a offrire buone occasioni hanno anche il vantaggio di avere l'inglese come lingua. Segue poi la Germania, paese che presenta una disoccupazione giovanile particolarmente bassa. A distanza Canada, Francia, Austria, Svizzera e Belgio. Bassa la percentuale di chi indica la Spagna (1,5%), attrattiva in passato ma colpita, con la crisi, da tassi di disoccupazione giovanile molto elevati.

L’analisi dell’esperto

“La migrazione italiana – dichiara Alessandro Rosina, tra i curatori del Rapporto e professore di Demografia e Statistica sociale dell'Università Cattolica di Milano - negli ultimi anni è decisamente cambiata. Non si tratta più di connazionali che prendono il treno un po' spaesati e con al braccio valige di cartone, ma di giovani dinamici, intraprendenti, affamati di nuove opportunità e con un tablet pieno di appunti su progetti e sogni da realizzare. I motivi sono vari. Da un lato la generazione dei Millennial considera del tutto naturale muoversi senza confini. Sono sempre più consapevoli che la mobilità internazionale è di per sé positiva, perché consente di aprirsi al mondo, conoscere diverse culture, arricchire il proprio bagaglio di esperienze, ampliare la rete di relazioni. Dall'altro lato il sempre più ampio divario tra condizioni lavorative delle nuove generazioni e possibilità di valorizzazione del capitale umano in Italia rispetto agli altri paesi avanzati e in maggiore crescita, porta sempre più giovani a lasciare il paese non solo per scelta ma anche per non rassegnarsi a rimanere a lungo disoccupati o a fare un lavoro sotto inquadrato e sottopagato”.

Un Paese che non valorizza i bravi e che non elimina i lavoratori mediocri insomma non piace a nessuno. Spiega Rosina: “La scelta di molti giovani di andare all'estero (non necessariamente una “fuga” e non necessariamente di “cervelli”) è soprattutto dovuta al fatto che in Italia il successo professionale è più legato alla famiglia in cui si nasce e alle proprie conoscenze, che alle effettive capacità e competenze dei singoli. All'estero si viene maggiormente messi nelle condizioni di dare il meglio di sé e fare carriera con regole trasparenti. In Italia invece i giovani trovano posizioni ai margini del mercato del lavoro, sono spesso sottoinquadrati e sottoremunerati. Ma esiste anche un blocco generazionale. Chi ha conquistato posizioni di rilievo, indipendentemente dai risultati ottenuti, non viene rimesso in discussione. I risultati contano invece molto all'estero e questo consente ai giovani di poter davvero dimostrare quanto valgono”.

Ma cos'è cambiato rispetto al passato? Perché il nostro Paese non è lavorativamente attraente per un laureato? Continua il professor Rosina: “Mentre nel resto d'Europa essere giovane e laureato è un valore aggiunto che consente di avere tassi di occupazione elevati e migliori remunerazioni rispetto a chi ha titoli di studio più bassi, ciò non avviene nel nostro paese. Solo dopo i 35 anni il rendimento della laurea comincia a diventare rilevante. Questo è dovuto al nostro basso investimento in Ricerca, sviluppo e innovazione, in combinazione con la nostra più limitata capacità di fare una politica di sviluppo espansiva nei settori più dinamici e competitivi che sono quelli che assorbono maggiormente giovani altamente qualificati. E chi dice che sforniamo troppi laureati è del tutto fuori strada. Di fatto noi italiani creiamo meno laureati rispetto al resto d'Europa. Se pensiamo che siano troppi significa che abbiamo deciso di essere un paese in declino e destinato a scivolare sempre più ai margini del mondo”.

Se il dilemma partire/restare viene risolto a favore dell'estero, chi lascia l'Italia per un mercato del lavoro più meritocratico e mobile perché poi dovrebbe ritornare a casa? “Questo è uno dei punti salienti - commenta il professore Rosina. - La questione non è tanto quella di quanti se ne vanno. La mobilità per studio e lavoro è infatti alta e considerata positiva in tutta Europa. Il problema si pone quando a fronte dei tanti che se ne vanno, non ce ne sono altrettanti - in quantità e qualità - che tornano o che attraiamo dagli altri paesi. E questo è il caso dell'Italia che perde molti più laureati di quanti ne guadagna. Molti sarebbero disposti a tornare, ma a condizione di poter valorizzare l'esperienza fatta all'estero e all'interno di un paese che torna a mettere le nuove generazioni al centro del proprio modello di sviluppo. Questo per ora non si vede”.

Si parla sempre dei cervelli in fuga, giovani laureati con curriculum importanti.
E per tutti i giovani tra virgolette, normali?
Il ragazzo che ha sì una laurea, ma conseguita magari in un'ateneo non blasonato, con un inglese standard e un'esperienza di lavoro non mirabolante, come può sopravvivere in un mercato iper competitivo che fa fatica ad assorbire persino chi ha master e background prestigiosi? “Se il paese cresce valorizzando il capitale umano delle nuove generazioni - conclude il professor Rosina - si creano opportunità per tutti. Attualmente invece tutto è schiacciato verso il basso. Chi ha alte capacità e qualifiche si adatta a fare un lavoro sottoinquadrato e sottoremunerato, mentre chi è meno formato fa fatica a trovare lavoro e rimane disoccupato o si arrangia con qualche lavoretto in nero. Se quindi si rilancia lo sviluppo del paese migliorando le opportunità per chi ha alto capitale umano, si creano spazi e occasioni anche per chi ha titoli medio-bassi. Migliore qualità di lavoro per chi ha migliore formazione e crescita competitiva del paese sono le componenti di un circolo virtuoso che sposta tutto verso l'alto. Consentono, in verticale, di liberare posizioni intermedie e, in orizzontale, di stimolare la creazione di nuove occasioni di lavoro. Se invece accettiamo un destino di declino, sempre più giovani se ne andranno e chi rimarrà dovrà sempre più accontentarsi di fare e ottenere meno rispetto alle sue potenzialità".

Generazione Erasmus

Un Erasmus può davvero aprire porte lavorative che altrimenti resterebbero chiuse? A questa domanda rispondono Damiano Ramazzotti, amministratore delegato di WeTipp, e Marco Mazzini, Cofounder & Deputy Chairman di garagErasmus Foundation: “Un Erasmus da solo non può essere considerato l'unico fattore per trovare lavoro, senza una solida preparazione. L'esperienza all'estero però arricchisce molto la personalità dell'individuo, lo pone a contatto con culture e realtà diverse e contribuisce alla formazione di una personalità aperta al mondo, curiosa, flessibile: tutte qualità essenziali per il lavoratore del nuovo millennio. Occorre poi ricordare che Erasmus+ (la nuova versione di questo programma di scambio che dura in Europa da 28 anni) acuisce il senso di imprenditorialità e moltissimi tornano in patria con l'idea di creare la propria impresa. Molte aziende italiane (oltre alle multinazionali) vedono già nelle esperienza di studio all'estero un fattore che arricchisce il profilo professionale. Una conferma viene dallo studio effettuato della Commissione Europea lo scorso anno: il tasso di disoccupazione dei giovani dopo 5 anni dall'Erasmus è mediamente del 23% più basso e 2/3 delle aziende e dei recruiter riconoscono in chi ha fatto un'esperienza di studio una maggiore presenza di quelle attitudini che sempre ricercano di più: apertura mentale, problem solving, senso di iniziativa, curiosità e, ovviamente, competenze linguistiche internazionali”.

Per consentire agli ex Erasmus di fare network e trarre il massimo vantaggio da quei mesi trascorsi all'estero è nata garagErasmus (http://www.garagerasmus.org/). Come spiega Marco, si tratta di "una fondazione che sostiene in Europa e nel mondo la mobilità internazionale dei talenti e l'imprenditorialità degli oltre 3 milioni di persone della generazione Erasmus. Creata nel 2013 su iniziativa di un gruppo di ex Erasmus italiani già affermati nei propri settori professionali, si è rapidamente sviluppata grazie al sostegno di istituzioni (in primis la Commissione Europea), università, città e aziende europee, accomunate dalla convinzione che la generazione Erasmus ha un ruolo strategico nello sviluppo economico, sociale e politico futuro dell'Europa. Poi è stata la volta di Check-in Europe, il progetto chiave di garagEasmus: una piattaforma digitale grazie alla quale verranno create opportunità di lavoro e di business per giovani di tutte le nazionalità. Grazie a un accordo con la Commissione Europea e in collaborazione con un numero sempre maggiore di università, tutti coloro che hanno effettuato un'esperienza Erasmus (circa 200 mila persone ogni anno) sono invitati ad iscriversi alla piattaforma; allo stesso modo le aziende possono, per il momento gratuitamente, pubblicare annunci di lavoro e ricercare profili interessanti e fortemente orientati verso l'internazionale. La promessa di Check-in Europe è Fly to the place where you dream of working, ovvero "Decidi tu dove vuoi andare e dove le tue competenze sono ricercate e valorizzate". Abbiamo selezionato molte nuove realtà a livello europeo, ma alla fine quella che ci è parsa più interessante era Wetipp, lo spin off di Talent Garden che ha lo scopo di supportare le community di talenti che vogliono connettersi tra di loro".