La Milano delle periferie, quella dei rapporti umani e delle nottate al Derby Club. E' questa quello che Enzo Iacchetti racconterà sabato 3 ottobre al Teatro Barrio's, alle 20 per il secondo appuntamento di "Milano noi - Da Gaber a Jannacci. Dall'Ortica al Giambellino. Milano, i suoi artisti, i suoi quartieri", rassegna organizzata da MM e Fondazione Gaber. "Cosa mi manca di allora? La nebbia e un po' di umanità" dice a Tgcom24.
Cresciuto artisticamente nel Derby club di fine anni 70, amico di Giorgio Gaber ed Enzo Jannacci, legato alla periferia dove le tradizioni ancora resistono, magari in un'osteria dove si mangia con pochi euro e si oltre a mangiare si canta uno stornello, Enzo Iacchetti è legatissimo a Milano, nonostante sia un milanese acquisito, nato in realtà a Castelleone (in provincia di Cremona) e poi cresciuto sul lago di Varese. Per questo la sua storia è perfetta per il tema della rassegna, che si propone di avviare un confronto e una riflessione sul tema dell'appartenenza a un contesto urbano e sociale e al tempo stesso stimolare la partecipazione e il coinvolgimento dei quartieri storici della città, attraverso incontri con personaggi legati a vario titolo a essa.
Quando sei arrivato a Milano?
Era il 1978 circa, e sono arrivato qui dopo aver vinto il provino al Derby Club. Prima di allora per me era un miraggio, perché era la città dove si muoveva tutto quello che io adoravo culturalmente, da Gaber a Jannacci e i Gufi… tutte cose che io leggevo sul giornale e che accadevano a MIlano.
E' stato duro il primo impatto?
Diciamo che ho fatto la mia bella gavetta. All'epoca c'era più selezione sulla qualità e potevi fare anche mesi o anni di anticamera perché al Derby finché non ne usciva uno famoso non ne prendevano un altro.
Se pensi a quando sei arrivato e poi guardi all'oggi, cosa ti manca di più di quella Milano?
La nebbia. Che non è solo un fenomeno atmosferico, ma era quasi una metafora dell'anima della città. All'epoca quando scendeva non si vedeva nulla, si doveva andare a memoria. Per ritrovare la macchina contavi i passi e cercavi di recuperarla. E poi andavamo a memoria al baracchino dei panini. Lì si radunavano vigili di turno, poliziotti di turno, puttanoni che avevano finito di lavorare… e tutti insieme si mangiava. Mi manca un po' questo ambiente molto intimo e riservato. Oggi la città è un po' più menefreghista.
E' tutto peggiorato quindi?
Ma no, non esageriamo. Io adoro ancora questa città. E' funzionale, si sta bene, si viaggia bene. E a livelo culturale è la città con più teatri, e funzionano quasi tutti. Senza contare i cinema, anche se molti sono finiti nell'hinterland nei multiplex, e i bei ristoranti. Io la ritengo la città più bella d'Europa dopo Londra, ma se teniamo conto che a Londra ci sono gli inglesi... diventa la numero uno.
Una volta si diceva "Milano con il cuore in mano". C'è ancora quella cultura dell'accoglienza?
Sì, ovviamente possono esserci delle piccole eccezioni ma questa città, per quanto cambiata, resta generosa. Accoglie tutti ed pronta ad aprire le proprie porte. Magari senza troppi clamori. Anche io nel mio piccolo cerco di dare un mano e sono testimonial di un'associazione che aiuta i clochard.
La rassegna è incentrata soprattutto sulle perfierie. Ce n'è una alla quale sei particolarmente legato?
In realtà due. A livello musicale sono legato al Giambellino, che per esempio era una grossa fonte di ispirazione per Giorgio Gaber e la ritroviamo in molte sue canzoni. E poi personalmente c'è Baggio. E' la zona che ancora oggi frequento di più. Lì è un po' come se il tempo si fosse fermato. E il mio posto preferito è un'osteria di specialità milanesi, di quelle di un tempo: dove entri e c'è quello con la chitarra e si conoscono un po' tutti.
Quali sono i tuoi prossimi impegni lavorativi?
Dal 30 novembre rientro a "Striscia la notizia" e poi a gennaio parto in tournée con una nuova commedia teatrale in coppia con Giobbe Covatta, fino a fine aprile.