Per i magistrati che indagano sul caso dei camici in Lombardia, una chat tra Dini, il cognato del governatore Fontana, e Aria spa, la centrale acquisti della Regione, dimostrerebbe un accordo "preordinato". La prova sarebbe in un messaggio Whatsapp in cui Dini cercava di vendere i 25mila camici (mai consegnati) due ore prima di proporre alla Regione la donazione forse perché qualcuno gli aveva assicurato che il materiale non sarebbe stato accettato.
Per la procura, secondo la ricostruzione de Il Corriere della Sera, ci sarebbe stato, in pratica, "un preordinato inadempimento contrattuale per effetto di un accordo retrostante".
Andrea Dini il 16 aprile aveva avuto una commessa per la sua "Dama spa" da 513mila per la fornitura di 75mila camici e 7mila set sanitari da parte della centrale acquisti regionale Aria spa. Il 20 maggio, con una email inviata alle 11.07, Dini comunicava di trasformare il contratto di fornitura in donazione.
Ma due ore prima, alle 8.58 sempre del 20 maggio, Dini cercava di vendere i 25mila camici a una Onlus del Varesotto ("Ciao, abbiamo ricevuto una bella partita di tessuto per camici. Li vendiamo a 9 euro, e poi ogni 1000 venduti ne posso donare 100").
Onlus: "Dini non voleva vendere a noi" Non era un'offerta di vendita di camici diretta specificamente alla onlus il Ponte del Sorriso quella che compare in una chat tra Dini ed Emanuela Crivellaro, fondatrice e presidente della associazione varesina. E' quanto hanno precisato fonti della onlus stessa, chiarendo che la conversazione ora tra gli atti della Procura milanese era solo "una comunicazione generica" da parte di Dini e "non un invito a comprarli".