Tagliando il valore dello yuan (per ben due giorni di fila), la Cina conta di rilanciare l'economia in difficoltà dopo le cadute dei mercati azionari di luglio. Un rallentamento che, sebbene "pilotato" in prima battuta, ora tiene in ansia i mercati europei, soprattutto tra gli investitori che molto avevano puntato su Pechino.
Quella cui si sta assistendo è la maggiore svalutazione degli ultimi vent'anni e penalizza molte tra le aziende che vendono in Cina (specie quelle del lusso), mentre nelle intenzioni dovrebbe permettere all'export – il traino dell'economia cinese – di ripartire.
Finora, infatti, il modello di crescita di Pechino si era basato principalmente sulle esportazioni, così come il Giappone e altre realtà asiatiche minori. Di recente le autorità cinesi hanno cominciato ad adottare misure per favorire i consumi interni, quasi un cambiamento di paradigma che però sta procedendo a rilento.
La riduzione della crescita degli scambi commerciali ha tuttavia indebolito l'economia cinese, ora "costretta" a sconfessare le politiche degli ultimi tempi. In generale la Cina stava rallentando la sua crescita, attestandosi comunque su livelli superiori o pari al 7% (come nel secondo trimestre 2015). Nel frattempo le esportazioni cinesi sono crollate, fino a -8,3% nel mese di luglio mentre le importazioni sono diminuite dell'8,1% a conferma di una contrazione tanto della domanda sui mercati internazionali quanto di quella interna. Soltanto a giugno le esportazioni cinesi avevano evidenziato un incremento del 2,8%.
Segnali non particolarmente positivi arrivano poi dalla produzione industriale a luglio, che è cresciuta del 6% quando a giugno era aumentata del 6,8% (gli analisti attendevano un +6,6%). Scambi commerciali in rallentamento e produzione industriale in frenata, elementi che fanno dubitare sull'obiettivo di crescita del 7% quest'anno. Probabilmente, suggeriscono le previsioni, il Pil cinese si attesterà nel 2015 su livelli di poco inferiori, tra il 6,8 e il 6,9%.