Lo yuan, la valuta cinese, si è ulteriormente indebolita all'apertura dei mercati asiatici, dopo la svalutazione-record di martedì. La banca centrale cinese, la People's Bank of China, ha infatti "limato" ulteriormente il valore di riferimento dello yuan, abbassandolo di un ulteriore 1,62% dopo il taglio di martedì che è stato dell'1,9%.
A risentire della svalutazione sono soprattutto i prezzi delle materie prime: petrolio e minerali fino a ora inghiottiti in maniera crescente dalla "fabbrica del mondo" ma in alto alla catena soffrono sui mercati occidentali i produttori dei beni di lusso richiesti dalla nuova oligarchia cinese: auto, moda e gioielli.
La mossa inoltre rischia di far scattare una "guerra di valute" fino a ora limitata a una guerriglia che ha visto scendere anche le monete di Australia, Sud Corea e Singapore.
Fmi: "Bene nuovo meccanismo per cambio" - L'Fmi però ha accolto con favore la scelta della Banca Centrale cinese di determinare il tasso di cambio con un nuovo "meccanismo" che permetterà al mercato "un ruolo maggiore". Lo ha affermato un portavoce del Fondo. Secondo l'Fmi, inoltre, una maggiore flessibilità nei tassi consentirà a Pechino una rapida "integrazione nei mercati finanziari globali".
Luglio, frenano industria e investimenti - Dall'economia cinese arrivano intanto nuovi segnali di rallentamento, con la produzione industriale che, secondo i dati dell'Ufficio di statistica, è cresciuta del 6% dopo il 6,8% di giugno e contro una stima degli analisti pari al 6,6%. Dall'inizio dell'anno gli investimenti in attività immobilizzate sono saliti dell'11,2%, il passo più lento dal 2000. Già da tempo in difficoltà l'export, mentre crescono i timori sulla effettiva possibilità di raggiungere una crescita del 7% nel 2015.