Erano le 10.25 di sabato 2 agosto 1980 quando un'esplosione alla stazione centrale di Bologna spezza nel sangue la tranquilla routine del rito delle vacanze e rigetta il Paese nell'incubo del terrorismo. 85 morti e 200 feriti il bilancio finale della strage più sanguinaria nella storia italiana. Trentacinque anni dopo quella della strage di Bologna resta ancora una ferita aperta per l'Italia: condannati gli esecutori materiali (Valerio Fioravanti e Francesca Mambro) rimangono infatti numerose ombre sui mandanti.
Alle 10:25 (l'ora della tragedia rimarrà impressa, come ricordo incancellabile, nelle lancette ferme del grande orologio che si affaccia sul piazzale della stazione) un boato squarcia l'ala sinistra dell'edificio della stazione: la sala d'aspetto di seconda classe, il ristorante, gli uffici del primo piano si trasformano in un cumulo indistinto di macerie e polvere. Rimane colpito anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, fermo sul primo binario.
Pochi istanti, interminabili, e fra nuvole di detriti si cominciano a intravedere immagini di corpi devastati, feriti in condizioni disperate, taxi in attesa nel parcheggio esterno trasformati in bare dalle lamiere informi. Nel ristorante-bar self service perdono la vita sei lavoratrici.
Ovunque lacrime, choc, urla strazianti. E poi polvere, tanta polvere, che entra in gola e soffoca il pianto smarrito di passeggeri che aspettavano solo di partire per le vacanze o per riabbracciare i familiari. Molti, ora, cercano solo di ritrovare voci e volti di parenti e amici.
Comincia un'opera ininterrotta, interminabile, per i tantissimi soccorritori, una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una città che stava "chiudendo per ferie". Inizia anche la conta della vittime: la più piccola è Angela Fresu, appena tre anni, poi Luca Mauri di 6, Sonia Burri di 7, e via via fino a Maria Idria Avati, di ottant'anni, e Antonio Montanari, di 86, in una tabella di morte che cancella persone di ogni età, provenienza, storia di vita. Interviene anche l'Esercito, mentre il silenzio irreale del centro città è squarciato senza tregua dalle sirene di ambulanze, vigili del fuoco, forze dell'ordine.
Un bus Atc della linea 37 diventa simbolo di quel 2 agosto perché si trasforma in un improvvisato carro funebre che fa la spola con la Medicina legale di via Irnerio, a poca distanza, per trasportare le salme. Una surreale corsa diretta stazione- obitorio. Le ambulanze servono invece per i vivi, che vengono smistati in tutti gli ospedali, dove rientrano in servizio medici e infermieri.
Le prime ipotesi investigative parlano dello scoppio di una caldaia ma nel punto dell'esplosione non ci sono caldaie, e la fuga di gas viene presto scartata per lasciare spazio alla vera causa della strage: una bomba ad alto potenziale. In stazione arriva, commosso e impietrito, il presidente della Repubblica Sandro Pertini.