Come la giri giri, la storia della presunta intercettazione Crocetta-Tutino, quella nella quale Lucia Borsellino doveva essere fatta fuori come il padre, puzza di marcio. Certo, se si rivelasse vera sarebbe di una gravità inaudita, ma tutta la squallida vicenda della sanità siciliana è l'ennesimo specchio dello sfacelo in cui versa la Sicilia. Uno sfacelo di dimensioni enormi che attraversa ormai da anni la quotidianità dell'isola nella politica, nell'economia, nel lavoro, nel turismo, nella gestione delle opere pubbliche e dell'immenso patrimonio culturale che continua ad avere riconoscimenti dall'Unesco.
Come ha scritto sul Corsera qualche giorno fa Gianantonio Stella, nel 1951, secondo Confindustria, la Sicilia rappresentava un ottavo del Pil italiano, nel 2012 solo un diciottesimo. E Bankitalia segnala addirittura una perdita di 15 punti del Pil regionale dal 2008 al 2014. Certo, non si possono dare tutte le colpe a Crocetta, ma se uno si presenta come il nuovo pronto a guidare il grande cambiamento, qualche responsabilità ce l'ha, a maggior ragione se il cambiamento avviene in peggio. La sua giunta in poco più di due anni e mezzo si è sbriciolata come le strade e i viadotti crollati qua e là nell'isola in questi ultimi mesi. La Sicilia è la Grecia d'Italia, e purtroppo non parliamo di storia, templi e teatri: il bilancio regionale è in profondo rosso come quello ellenico, il default dietro l'angolo. La regione sembra totalmente fuori controllo, al punto massimo di ingovernabilità della sua storia recente.
Serve una svolta, e in una terra dove non di rado l'assurdo è a volte più vero del reale, bisogna provocare, pensare trasversalmente, senza linearità. E allora spariamola grossa: affittiamo la Sicilia agli stranieri. Follia? Colpo di sole? Certamente, ma proviamo a ripassare la storia: i periodi di maggiore splendore dell'isola sono stati quelli in cui ci sono state dominazioni -appunto- straniere. Certo, non tutti i "padroni" si sono comportati benissimo, ma l'essere stati sempre "a servizio" di qualcuno ha sviluppato nei siciliani un infinito senso dell'ospitalità (oltre che la fantasia e l'arte di arrangiarsi) inversamente proporzionale alla capacità di sapersi governare. Lo statuto speciale è stato malamente usato. L'unico, chiamiamolo così, esecutivo autoctono non riconosciuto si chiama mafia, e non ha certo contribuito al benessere dell'isola.
Allora proviamo a far rinascere la Trinacria, la terra "dove pasce il gregge il Sole" cantata da Omero, affidandone il governo, con tanto di contratto di locazione a lunga durata, a chi potrebbe fare meglio (e non ci vuole tanto) di chi comanda oggi. Che ne dite degli americani, in particolare di Larry Page e Sergej Brin, le due menti di Google, che in questi giorni, per il secondo anno consecutivo, hanno scelto la Sicilia per il loro "Camp" annuale? Pensate che opportunità: il colosso di Mountain View che prende in gestione l'intera isola per trasformarla in una specie di Silicon Valley sul Mediterraneo.
Un pensierino potrebbero farlo anche i cinesi, le cui imprese che costruiscono grattacieli in tempo record in men che non si dica sbloccherebbero gli eterni cantieri e rifarebbero strade, viadotte e ponti. Per non parlare dei ritmi di lavoro: magari con un po' di sano stakanovismo dagli occhi a mandorla si troverebbe la soluzione per tenere sempre aperti monumenti e bellezze artistiche, i cui orari di visita oggi spesso risultano avvolti nel mistero.
E se tornassero gli arabi? Invece che acquistare squadre di calcio, si riprendano una terra alla quale hanno dato e dalla quale hanno avuto tanto, nel segno di quella tolleranza che contraddistinse due secoli di ricchezza e prosperità. Un sovrano ricco e illuminato, ben lontano dai fondamentalismi, ecco cosa servirebbe. Nelle ultime settimane si è parlato di un principe saudita che donerà la sua fortuna miliardaria in beneficenza per scopi altissimi, faccia un pensiero a quella che i suoi avi chiamavano Siqilliyya.
Un ritorno al passato potrebbe riportare gli eredi dei Normanni, dai quali, non a caso, prende il nome il palazzo sede dell'Assemblea regionale siciliana. Scandinavi di tutto il Nord Europa unitevi, e sulle orme di Ruggero II riportate sull'isola dopo oltre un millennio l'efficienza del suo governo. Oltre a un bel po' di turismo, ovviamente.
A due condizioni precise sarebbero ben accetti anche i tedeschi. La prima è che debbano giurare di non ispirarsi all'asfissiante austerity di Merkel e Schauble ma a Federico II di Svevia, passato alla storia come "Stupor mundi", l'imperatore che fece della Sicilia la capitale del mondo. La seconda è che tutti i tedeschi, prima di mettere piede sull'isola, imparino a memoria e si facciano ispirare dalle parole del loro connazionale Wolfang Goethe il quale poco più di due secoli fa scriveva che in Sicilia si esaltano "la purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l'unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra. Chi li ha visti una sola volta li possederà per tutta la vita".
Ma Goethe scriveva anche che "l'Italia senza la Sicilia non lascia nello spirito immagine alcuna, è in Sicilia che si trova la chiave di tutto". Più realisticamente, senza bisogno di mettere un cartello "affittasi", qualcuno trovi, e presto, la serratura giusta.