Lo stato di salute dell'industria metalmeccanica italiana non è lontano da quello di un Paese appena uscito dalla guerra. Una considerazione dura ma che, secondo il Presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi, descrive a pieno la situazione attuale, a otto anni dall'inizio della crisi, di un settore fondamentale per la nostra economia.
Dal 2007 ad oggi la produzione del settore è scesa del 30% comportando una perdita di posti di lavoro pari a 250mila unità. Inoltre, le esportazioni, che da sole valgono quasi la metà del fatturato settoriale, nel corso della crisi economica sono cresciute solo di 2,2 punti percentuali, contro il +40% realizzato nel complesso dal commercio mondiale.
Eppure stiamo parlando di un'industria il cui valore aggiunto, nel 2014, ha rappresentato il 45,5% di quello totale del manifatturiero e il 7,1% dell'intera economia. Non solo, l'occupazione del settore metalmeccanico equivale al 6% dell'occupazione totale del Paese a al 41,3% di quella dell'intera industria manifatturiera. Sono 1,7 milioni gli addetti impiegati nel settore producendo ricchezza (in termini di valore aggiunto) per 100 miliardi di euro.
Anche il peso sul commercio estero è notevole, stando ai dati dell'Istat, le vendite verso altri Paesi sono pari al 48,1% delle esportazioni totali italiane. Pari invece al 36% il peso delle importazioni. Il settore esporta beni per 191 miliardi di euro, appunto quasi la metà del fatturato settoriale e vanta una bilancia commerciale in attivo per 65 miliardi di euro, compensando il deficit di altri settori (come quello agroalimentare o quello energetico).
Ma il settore della metalmeccanica non è solo rilevante dal punto di vista quantitativo, ma anche da quello strategico. Produce, infatti la totalità dei beni d'investimento in macchine e attrezzature, consentendo lo sviluppo di tecnologie utilizzate in tutti i settori dell'economia italiana. L'intera produzione metalmeccanica è costituita per quasi due terzi da beni d'investimento (il 60%), per un terzo (il 36%) da beni intermedi e per una quota più piccola (il restante 4%) da beni di consumo, nella maggior parte durevoli.