Ora basta, davvero. Fosse per me li rinchiuderei in una grande casa di periferia, come nella Grande abbuffata di Ferreri (1973, “un capolavoro dell'edonismo") . Tutti insieme, Antonella Clerici, Benedetta Parodi, il trio inquisitore di Masterchef, Alessandro Borghese, la Gelisio, Canavacciuolo, i professionisti della griglia americani; li piazzerei tutti coi loro battaglioni di chef, aiutochef, aspiranti chef, spadellatori improvvisati, pasticceri, cake designers, a scambiarsi affannosamente derrate di cibo e portate, vedendoli ingozzarsi finchè morte non sopraggiunga.
Salverei, forse, solo Chef Rubio che di primo mestiere è rugbysta, e produce programmi affilati che sono la caricatura ruvida del mondo degli stellati e presunti gourmet. Insomma. Ogni volta che mi capita sotto il naso un cooking show, di prim'acchito mi viene la voglia irresistibile d'infilarmi nel ristorante di Gualtiero Marchesi -è iniziato tutto da lì- imbottito di tritolo. Poi passa. Si capirà dunque che, nel visionare La cucina secondo Nina (Fox Life, domenica prime time), l' “esperimento” che porta Nina Palmieri dai programmi sul sesso di Mediaset a quelli culinari, io parta un tantinello prevenuto.
E mentre il programma scorre mi accorgo di non cambiare idea. Il plot della Cucina secondo Nina consiste nell'invitare la Palmieri, carina, educata, un'evoluzione intellettuale della Parodi, in un ristorante chic come l'All'Oro di Riccardo di Giacinto a Roma. Le si fa assaggiare un piatto senza rivelarle la ricetta e l'ordine degli ingredienti; e Nina, spinta solo dalla bussola del gusto, deve riprodurlo tra le pignatte di casa. Lo chef, alla fine, ovviamente giudica. Punto. Nina si vanta di riconoscere il sapore dell'ingrediente al primo colpo di papilla; lo spettatore si vede porgere in modo gentile la produzione di un piatto probabilmente stellato; il canale occupa nel suo palinsesto l'ennesimo “esperimento” sul food che oramai serve a mascherare soltanto l'ego dilatato dei conduttori. La Palmieri è bravina e fa il suo. Ma non basta a togliermi dalla testa l'immagine della mattanza ipocalorica della Grande Bouffe col cadavere dello chef Ugo Tognazzi nel frigo. Ma non ne parlo troppo perché sennò a qualcuno potrebbe venire voglia di girare l'ennensimo coking in un refrigeratore…