Non si placa la polemica contro i simboli sudisti, negli Stati Uniti. La contestazione era nata dopo la strage di Charleston, per cui il giovane suprematista bianco Dylann Roof è accusato di aver assassinato nove persone, con l'obiettivo di scatenare una guerra razziale. Il presunto autore della strage aveva infatti sfoggiato, in numerosi scatti, la bandiera confederata: simbolo scelto nel 1861 dai sette stati che tentarono di separarsi dalla Federazione americana, per evitare l'abolizione della schiavitù. Philip Gunn, speaker della Camera dei Rappresentanti del Mississippi, si spinge a definirla "offensiva", e chiede che venga rimossa dal vessillo che rappresenta lo Stato.
Non si tratta dell'unica voce critica: nel vicino stato del Tennessee, sia repubblicani che democratici hanno chiesto l'eliminazione dagli stemmi pubblici di tutti i riferimenti alla Confederazione, a partire dalla bandiera. Suscita imbarazzi anche il busto del generale Nathan Bedford Forrest, posto a poca distanza dall'edificio del Senato. Quest'ultimo era stato uno dei leader del Ku Klux Klan, il movimento autore di numerosi atti terroristici contro gli afroamericani, tra il 1865 e il 1950.
Anche uno dei candidati repubblicani alla presidenza degli Stati Uniti, Lindsey Graham, si è detto contrario alla presenza della bandiera confederata sugli edifici governativi. Tuttavia, non manca chi si esprime a favore del mantenimento di quel simbolo, considerato un importante elemento della storia americana.