Anche i garage italiani riservano sorprese. Piccoli Steve Jobs nascono negli scantinati e poi riemergono in superficie con idee innovative e progetti fuori dagli schemi. Tipo quello di Marco Bocola, 35 anni, co-fondatore e amministratore delegato di Digital Fabbrichetta, startup che permette di ordinare online e realizzare oggetti di design con innovative tecniche di taglio laser o stampa in 3D.
In particolare, con il servizio Vectorealism, Marco ha vinto due anni fa il Premio nazionale per l'Innovazione nei Servizi: “Il mio era il primo portale di prototizzazione rivolto non tanto alle aziende, ma ai privati o ai giovani designer appena laureati e con l'esigenza di creare modelli senza spendere una fortuna. Gli oggetti più semplici che oggi ci chiedono di realizzare sono gioielli personalizzati, lampade, piccoli robottini senza la parte elettronica, droni, case per i computer, decorazioni varie”.
Con cartone, legno, tessuto, plastica, plexiglass, legno Marco realizza i progetti dei clienti distribuiti tra Milano e l'estero: “Ci arrivano ordini pure dall'Australia e questa è una grande soddisfazione”.
Prima dei riconoscimenti però, c'è l'immancabile e spesso duro scontro con una realtà, quella italiana, non proprio favorevole all'innovazione: “Il difficile - spiega Marco a Tgcom24 - non è tanto fare impresa, quanto farla in maniera innovativa. La prima fatica è farsi capire perché c'è la tendenza a riportare ogni idea a ciò che esiste già. Per tranquillizzare i burocrati che devono darti autorizzazioni o consulenze spesso devifar finta di fare qualcosa di diverso altrimenti non ti capiscono. Per esempio fanno fatica a d afferrare che io faccio sia manifattura sia ecommerce”.
Come si mette su un'impresa tutta propria quando si è così giovani? “A differenza di altri startupper - confessa Marco - non ho avuto la difficoltà di attrarre capitali di terzi. Cinque anni fa la mia ragazza aveva vinto un quiz televisivo e ha comprato una macchina per il taglio laser. Nello scantinato ha cominciato a fare progetti per amici e conoscenti. Io avevo una laurea in Sociologia dell'organizzazione e all'epoca facevo il consulente di direzione. A un certo punto abbiamo deciso di trasformare quella pazzia della cantina in un business vero e proprio che oggi dà lavoro a cinque persone".
Un'idea, l'intuizione giusta e il gioco è fatto. La strada che porta alla creazione di una startup sembra allettante sempre per più giovani stanchi di aspettare un'opportunità di lavoro classica. Secondo l'ultimo rapporto del Ministero dello Sviluppo Economico (leggilo qui) a fine marzo 2015 le startup innovative iscritte alla sezione speciale del Registro delle imprese erano 3.711, in aumento di 532 unità rispetto alla fine di dicembre (+16,7%).
Realtà che rappresentano lo 0,25% del quasi milione e mezzo di società di capitali italiane. Il 73% di loro fornisce servizi alle imprese (in particolare, prevalgono le seguenti aree: produzione software e consulenza informatica, 30,2%; attività di R&S, 16,3%; attività dei servizi d'informazione, 8,1%), il 18,2% opera nei settori dell'industria in senso stretto (su tutti: fabbricazione di computer e prodotti elettronici e ottici, 3,7%; fabbricazione di macchinari, 3,4%; fabbricazione di apparecchiature elettriche, 2,3%), il 4,1% nel commercio.
Cosa serve per definirsi una startup? Il 19 dicembre 2012 è entrata in vigore la legge n. 221 di conversione del Dl 179/2012, noto come “Decreto Crescita 2.0”. La Sezione IX del testo introduceva una nuova tipologia di impresa: la startup innovativa. Di cosa si tratta esattamente? Di una società di capitale costituita anche in forma cooperativa, residente in Italia o in un altro paese Ue purché abbia una sede produttiva o una filiale pure in Italia, che risponda a certi requisiti e abbia come oggetto sociale esclusivo o prevalente: “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico”.
Le società che hanno tale requisito godono di diverse agevolazioni: alleggerimenti burocratici e fiscali, gestione societaria flessibile, disciplina del lavoro su misura, piani di incentivazione in equity, equity crowdfunding, facilitazioni nell'accesso al credito bancario, incentivi fiscali all'investimento.
Non questioni di poco conto quando si vuole avviare una propria impresa. Quanto è difficile in Italia attrarre investitori che possano sostenere la propria idea? Non molto secondo Davide Dattoli, 24enne co-fondatore e amministratore delegato di Talent Garden, un CoWorking Campus del digitale fatto da una comunità di appassionati di digitale.
Oltre 1500mq destinati a startup, freelance, agenzie, incubatori, acceleratori, imprese e media. “Il nostro paese - spiega Dattoli - è in crisi ma questo è un vantaggio: i piccoli imprenditori hanno da parte un po' di capitale e in genere vogliono usarlo per finanziare nuovi progetti. Il cambiamento fa sempre paura, ma quando c'è una crisi la situazione non può peggiorare e quindi si rischia”. Nel 2011 abbiamo voluto creare un luogo dove chi volesse creare innovazione potesse trovare un posto fisico dove incontrarsi, ispirarsi e crescere insieme. Questo luogo usa la modalità del coworking. Tag è partita a Brescia ma oggi siamo presenti in 5 paesi e 13 città nel mondo”.
A chi vorrebbe lanciare una startup Davide Dattoli consiglia di partire “dalle cose che attorno a sé non funzionano. Il primo passo è trovare un problema e la relativa soluzione. Coworking, venture capitalist e via dicendo possono aiutare ma la capacità di leggere la realtà devono venire dallo startupper”.
L'errore che invece, va evitato è quello di innamorarsi della propria idea. Conclude Dattoli: “L'idea non vale nulla da sola, è solo lo stimolo di partenza. Conta l'esecuzione e serve tanta fatica. Può servire, però, raccontare la propria visione perchè ogni volta la si migliora".