Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha ribadito che l'estensione della banda ultra larga è tra gli obiettivi strategici del governo. Non potrebbe essere altrimenti. Del resto tanti sono i vantaggi – non solo economici – offerti dalla banda ultra larga, ad oggi ancora scarsamente diffusa nel nostro Paese.
Secondo uno studio della Commissione europea, che considera il numero di sottoscrizioni tra privati ed imprese, l'Italia è agli ultimi posti sulla diffusione della banda larga ad alta velocità (velocità pari o superiore a 30 megabit al secondo, mbps) e al penultimo posto per quanto riguarda la diffusione della banda ultra larga veloce (velocità pari o superiore a 100 mbps). Peggio di noi fa soltanto la Grecia.
Un ritardo che il nostro Paese intende colmare al più presto: la Strategia italiana per la banda ultra larga, presentata nel novembre scorso, prevede – attraverso investimenti per 6 miliardi di euro pubblici e 2 miliardi privati – la copertura per l'85% della popolazione con connettività di almeno 100 mbps e di almeno 30 mbps per il restante 15% entro il 2020.
D'altronde la diffusione della banda ultra larga offre diversi vantaggi: migliora, come spiegato qualche tempo fa dal ministero dello Sviluppo economico (Mise), la qualità della vita dei cittadini e consente alle imprese di aumentare la propria produttività. Con inevitabili e positive ripercussioni sull'economia: per la Banca mondiale, ad esempio, una variazione di 10 punti percentuali della penetrazione della banda larga può generare una crescita aggiuntiva del Prodotto interno lordo (Pil) dei Paesi sviluppati, pari all'1,2%.
Elementi più che sufficienti per comprendere i ripetuti inviti della Commissione europea ad incentivarne la diffusione. Entro il 2020, secondo gli obiettivi posti dall'Agenda digitale europea, almeno il 50% delle famiglie europee potrà abbonarsi ad Internet con connessioni al di sopra di 100 mbps. Rimanere indietro non è possibile per l'Ue. Secondo cui il ritardo con cui si diffonde Internet ad alta ed altissima velocità si ripercuote (negativamente) sulla capacità dei Paesi europei di innovare, diffondere la conoscenza e di permettere ai cittadini di usufruire di servizi online, compresi quelli pubblici essenziali.