Spendere 115 euro a cena all'Expo in un ristorante del padiglione giapponese e diventare, proprio malgrado, una web star ma soprattutto il centro di una polemica infinita che ha travolto i social network. Non se lo sarebbe mai aspettato l'avventore che, complice una cena di lavoro, ha voluto provare il brivido della cucina Kaiseki non in quel di Kyoto ma nella ben meno esotica Rho Fiera. Una storia paradigmatica, diventata forse a sproposito virale e che ormai veleggia tra il leggendario ("Oh all'Expo devi andare già mangiato perché è un furto") e il farsesco ("Cioè del sushi a 110 euro???"). Ma:
1) La cucina Kaiseki è la più cara che esista in Giappone. E' un super menù di tante portate composte in modo artistico, e in loco (cioè a Kyoto da dove arriva) costa dai 115 ai 300 euro se mangiata in un ryokan o in un locale di alto livello quale il Minokichi dell'Expo dovrebbe essere. A cranio. Non è che per saperlo occorra essere un fine conoscitore della cultura nipponica (anche se non guasterebbe) basta anche Wikipedia. L'acqua, effetivamente, è cara: 5 euro sono tanti per una bottiglia di frizzante, ma almeno non si paga il coperto e il servizio. Speriamo almeno sia del Monte Fuji (o per i più anzianotti raccolta da Fujiko in bikini).
2) Non sono ancora stato all'Expo, ma non ho nemmeno visto immagini di samurai che ti obbligano a sederti al ristorante più caro del padiglione giapponese, pena l'evirazione. Peraltro mi pare di capire che l'Expo sia una grande fiera gastronomica, quindi non manca la possibilità di andare da altre parti, mangiare altre cose, trovare opzioni più economiche, portarsi la schiscetta (o il bento per restare in tema) da casa.
3) Sui social network c'è stata un'esplosione di indignazione, sento parlare di questione etica, ma mai di libertà di scelta. All'Expo, come spiega bene chi ha consumato il pasto, non c'è stata alcuna imboscata: i prezzi sono esposti ovunque in modo chiaro, compreso il ristorante incriminato. E andare dove un menù costa 110 euro è una possibilità che sta al libero arbitrio di chi sceglie di spendere così i propri soldi, per piacere o per lavoro. Tra le questioni etiche, allora, bisognerebbe inserire anche la libertà, tra cui quella di cacciare fuori 110 euro per mangiare qualcosa che, altrimenti, potresti mangiare solo facendo 10mila chilometri (i 9600 tra Milano e Tokyo più i 370 per Kyoto, a spanne). E' immorale il fatto che l'Expo offra la possibilità di provare cose uniche (peraltro proprio valorizzare le unicità dei vari Paesi dovrebbe essere lo scopo...)? Boh. Il mondo non si sfama così? Una banalità. Insomma, giusto pretesti per indignarsi, perché
4) mi pare che lo sport nazionale ai tempi dei social network sia diventato l'indignazione.