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Rimini, prostitute "obbligate" dall'Erario ad aprire la partita Iva

In almeno quattro casi durante controlli fiscali l'Agenzia delle Entrate ha costretto delle lucciole a "regolarizzare" gli incassi

lapresse

Una sentenza della Cassazione del 2010 dice che il "meretricio è soggetto a tassazione perché attività lecita". Forti di questa affermazione l'Agenzia delle Entrate di Rimini in almeno quattro casi, durante controlli fiscali, ha "costretto" delle lucciole ad aprire la partita Iva e a pagare tasse e contributi sulle prestazioni effettuate. O meglio "servizi alla persona", come recita l'oggetto dell'attività. Ma le belle di giorno annunciano ricorsi.

La professione più antica del mondo, come viene definita la prostituzione, è dunque un'attività lavorativa autonoma. E quindi va tassata. Gli ispettori dell'Agenzia delle Entrate trovandosi di fronte casi di donne con cospicui conti in banca giustificati con l'attività di meretricio non si sono persi d'animo e hanno costretto le "colpevoli" ad aprire la partita Iva.

Dichiarandosi prostitute all'Erario pensavano di farla franca invece la sentenza di Cassazione del 2010 (ribadita nel 2011) dice chiaramente che è reato lo sfruttamento della prostituzione è reato ma non la "vendita" volontario del proprio corpo. E le tasse vanno pagate. Ma tra balzelli, contributi ed ovviamente sanzioni le lucciole si sono viste recapitare cartelle esattoriali con tanti zeri. Da qui la decisione di fare ricorso.

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