Terremoto in Nepal, i quattro alpinisti italiani travolti dalle slavine
La Farnesina: "All'appello mancano ancora decine di connazionali"
Tra le vittime del violento terremoto che ha messo in ginocchio il Nepal ci sono anche quattro italiani. Due diverse slavine hanno ucciso i trentini Renzo Benedetti e Marco Pojer, alpinisti profondi conoscitori della montagna, e Oskar Piazza e Gigliola Mancinelli, tecnici dell'elisoccorso travolti da una valanga di neve, sassi e ghiaccio che ha sepolto il villaggio di Langtang, a nord di Kathmandu. Ma gli italiani che mancano all'appello, secondo quanto confermato dalla Farnesina, sarebbero ancora molti.
Noto per le sue imprese di alpinismo, Renzo Benedetti, 60 anni, di Segonzano, in Val di Cembra, lascia moglie e figlio. Istruttore nazionale di scialpinismo e alpinismo, direttore della scuola di alpinismo della Sat di Cavalese, gli ottomila erano il suo habitat naturale. Manaslu, Makalu, Dhaulagiri, Cho Oyu e Gasherbrum II senza ossigeno, l'Everest e K2 con l'ossigeno. L'Himalaya un luogo che frequentava da sempre. "Ho sentito un boato dietro di me, poi ho visto una nube che scendeva spinta da un vento spaventoso. Mi sono messa a correre, ma sono stata investita da una pioggia di pietre e neve", racconta Iolanda Mattevi, la 52enne che al momento della tragedia era con Benedetti e Pojer.
Marco Pojer, 53 anni, di Grumes, in Val di Cembra, era amico di Benedetti (entrambi erano membri della Società degli alpinisti tridentini) e lavorava come cuoco nella scuola materna del paese. "Non era sposato e viveva con la mamma - racconta il sindaco, Simone Santuari - che è rimasta sola. Per martedì sera ho convocato un Consiglio comunale, poi andremo tutti da lei. Qui lo conoscevano tutti: siamo in 400. Erano 15 anni che faceva il cuoco lì e non era mai mancato un giorno. Adesso aveva chiesto un mese di aspettativa". Dopo il terremoto in Emilia Romagna era andato nei fine settimana per aiutare. Faceva parte dell'associazione Progetto Prijedor per la ex Jugoslavia. Ed era un alpino, tra i membri più attivi dell'associazione.
Rocchi conosceva bene anche l'altra vittima italiana, Oskar Piazza, colonna del Soccorso Alpino del Trentino Alto Adige. 55 anni, di Mori, membro della Scuola nazionale tecnici e vicedirettore della Scuola nazionale forre, era andato in Nepal proprio a guidare una spedizione per completare il suo progetto per aprirne di nuove. Sarebbe stata la dodicesima e ultima. "Con lui - racconta la compagna, Luisa Zappini, responsabile della centrale unica di emergenza in Trentino - sarei dovuta esserci anch'io, ma mi ha bloccata un problema di famiglia. Mi sembra ancora impossibile. Adesso voglio solo andare a prendermelo", dice dopo avere avuto la notizia dai sopravvissuti.
Per andare in Nepal, Gigliola Mancinelli aveva chiesto un cambio turno a un collega. "Ho ancora qui sul telefonino gli sms che Gigliola mi ha mandato prima di partire, ci teneva tanto ad andare...", racconta il dottor Germano Rocchi, responsabile del servizio di elisoccorso delle Marche. Gigliola Mancinelli, medico anestesista, era anche volontaria presso la base dell'elisoccorso di Fabriano. "Era una bravissima anestesista e una carissima collega", dice. Mamma di due figli di 15 e 10 anni, riusciva a conciliare il lavoro con la famiglia e la sua grande passione, la montagna e le forre. "Si allenava nei fine settimana. Per questo viaggio aveva insistito tanto per poter andare".
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