Giovanni Lo Porto, il cooperante italiano ucciso in un raid Usa contro Al Qaeda, era stato rapito tre anni fa, il 19 gennaio 2012, insieme a un collega tedesco in Pakistan, dove lavorava per la ong tedesca Welt HungerHilfe ("Aiuto alla fame nel mondo") impegnata nella ricostruzione dell'area messa in ginocchio dalle inondazioni del 2011. Quattro uomini armati li prelevarono con la forza nell'edificio dove lavoravano e vivevano con altri operatori a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanistan.
La ricostruzione del sequestro - Il collega Bernd Muehlenbeck, liberato il 10 ottobre 2014, aveva ricostruito il sequestro raccontando che quattro uomini armati li avevano prelevati con la forza nell'edificio dove lavoravano e vivevano con altri operatori a Multan, al confine tra Pakistan e Afghanistan. Da Muehlenbeck però non era arrivata nessuna indicazione di dove potesse trovarsi Lo Porto, essendo stati divisi quasi un anno prima della liberazione del tedesco.
Da subito sequestro "complicato" - Sin dalle prime fasi, la risoluzione del sequestro di Lo Porto si era rivelata ben presto complicata: prima era arrivata la rivendicazione del rapimento da parte di Al Qaeda. Ma, il Tehrek-e-Taliban Pakistan (TTP), principale movimento armato anti-governativo, altro "sospettato", aveva più volte negato di avere in mano Lo Porto.
Innamorato del suo lavoro e dell'Asia - Chi ha lavorato con Lo Porto lo descrive come una persona molto accorta e preparata. Il suo professore alla London Metropolitan University, dove Lo Porto aveva studiato, lo ha ricordato tempo fa come uno studente "appassionato, amichevole, dalla mente aperta". "Mi disse: "sono contento di essere tornato in Asia e in Pakistan. Amo la gente, la cultura e il cibo di questa parte del mondo", perché il Pakistan era il suo vero amore e sentiva di aver operato bene, stabilendo dei buoni rapporti con la popolazione".
Le petizioni e le richieste di intervento - I suoi amici di Londra avevano organizzato una petizione già nel dicembre del 2013 in cui chiedevano a chiunque avesse qualche influenza di adoperarsi per la sua liberazione. Iniziativa replicata il 19 gennaio del 2014, per l'anniversario del suo rapimento, con l'appello lanciato dal Forum del Terzo Settore al governo italiano e ai direttori dei giornali "per rompere il muro del silenzio".