Vivono in condizioni di povertà estrema più di un miliardo di persone, motivo per cui secondo il governatore della Banca d'Italia, Ignazio Visco, la Banca mondiale dovrebbe fare di più, ovvero concentrare maggiori risorse verso le aree a rischio. Flussi migratori di massa sono anche la conseguenza diretta di situazioni insostenibili, persone in fuga dalla fame.
È un tema di assoluta attualità, molto più l'indomani dell'ennesima tragedia nel Mediterraneo. La Banca mondiale è al lavoro per tentare di arginare il problema entro il 2030. Viene definita povertà estrema quella con un reddito di 1,25 dollari al giorno e riguarda ancora oggi molte delle cosiddette economie emergenti, nonostante gli evidenti margini di crescita osservati negli ultimi anni.
Tuttavia anche gli emergenti faticano a mantenere stabili i propri livelli di crescita. Anzi, stanno rallentando. Per raggiungere l'obiettivo di azzeramento della povertà estrema va incentivata, appunto, la crescita, che al momento sembra però migliorare a ritmi più contenuti.
In generale le economie emergenti sono cresciute in media del 6% dal 2000 al 2011, a cui è poi seguito un rallentamento. Una frenata più visibile quest'anno quando si prevede una crescita del 4,5%. In particolare, poi, è proprio l'Africa sub-sahariana ad avere risentito maggiormente delle condizioni economiche più avverse.
L'area, infatti, viaggiava ad una media storica del 4,4% (in alcuni casi anche del 5%), mentre le stime di quest'anno confidano in una crescita del 4%. Si tratta pur sempre di una prospettiva migliore rispetto alle attese per l'economia mondiale (+2,9%), ma il dato preoccupa soprattutto per via delle lacune strutturali – guerre, epidemie – che di fatto hanno spesso minato la stabilità sia economica che politica.
Banca mondiale e Fmi (Fondo monetario internazionale) hanno già investito ingenti somme al fine di abbattere la povertà, che comunque negli ultimi 25 anni è stata ridotta di oltre due terzi. Ma un miliardo di persone che vivono in condizioni assolutamente sfavorevoli è un numero ancora considerevole. E l'attuale contesto internazionale non aiuta le aree interessate dal rallentamento, a cominciare dal crollo del prezzo del petrolio.