La guardia di finanza di Pordenone ha eseguito cinque arresti nei confronti di quattro cittadini italiani e di uno di nazionalità tunisina coinvolti a vario titolo nello spaccio di eroina. Complessivamente gli indagati risultano essere sette. Stando a quanto emerso dalle indagini, alcune compravendite di stupefacenti avvenivano all'interno delle insospettabili mura di una chiesa di Mestre.
L'operazione trae origine dall'arresto, avvenuto lo scorso anno a Pordenone per spaccio, di una giovane coppia che smerciava nel proprio appartamento droga a persone dell'hinterland, fra cui anche minorenni. Le Fiamme Gialle hanno poi scoperto una rete estesa nella provincia riconducibile a quattro persone (due residenti a Pordenone e due a Cordenons), ideatrici di un "canale di approvvigionamento" dell'eroina tra la piazza di spaccio di Mestre e la Destra Tagliamento che vedeva come fornitore un cittadino tunisino residente nel Veneziano. Quest'ultimo, nonostante si trovasse agli arresti domiciliari, coordinava da casa la consegna dello stupefacente che avveniva per strada, vicino l'immobile.
L'attività proseguita durante il lockdown L'attività era proseguita anche durante il lockdown, consentendo alla rete di operare in quasi assenza di "concorrenza" con conseguente aumento del prezzo medio delle dosi commercializzate. Gli investigatori, al termine degli accertamenti, sono riusciti a ricostruire oltre 500 episodi di spaccio e la commercializzazione di 3 chili di eroina, avvenuti da agosto 2019 ad aprile 2020.
Episodi di spaccio anche in una chiesa "Per evitare gli stringenti controlli posti in essere sul territorio nel periodo di lockdown dalle forze di polizia gli indagati ricorrevano a sotterfugi: alcune compravendite di stupefacenti avvenivano all'interno delle insospettabili mura di una chiesa di Mestre", hanno spiegato i finanzieri. "Si faceva ricorso a carte prepagate per i pagamenti viaggiando quindi senza denaro al seguito, si simulavano inesistenti attività lavorative (come assistenza anziani, collaboratrici domestiche) per giustificare gli spostamenti e, per ultimo, per evitare i sequestri, gli indagati occultavano lo stupefacente, oltre che nella biancheria intima, anche all'interno del loro corpo".