TRISTE RICORRENZA

Odissea Marò, tre anni fa l'inizio dell'incubo per Latorre e Girone

Si attende una mossa distensiva da parte dell'India ma l'Italia prepara il piano "B"

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Il 15 febbraio del 2012 è cominciata l'Odissea per i fucilieri Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Quel giorno al largo del Kerala erano a bordo della petroliera "Enrica Lexie" che li coinvolge nella morte di due pescatori indiani. Anziché restare in acque internazionali dopo la sparatoria con alcuni presunti pirati la nave entra in porto e consegna i nostri militari alle autorità indiane. E dopo tre anni la loro vicenda è ancora in alto mare.

C'è attesa per un dialogo in corso fra i governi di Roma e Delhi. Ma di esso si sa poco e comunque se funzionasse dovrebbe portare ad una soluzione politica avallata da leggi e tribunali indiani. Alle prese con le terapie per rimettersi dall'ictus, Latorre trascorre da settembre a Taranto ore di attesa, con gli occhi puntati sulla scadenza, nella seconda settimana di aprile, della nuova proroga di tre mesi concessagli dalla Corte Suprema indiana.

Tornerà a New Delhi? Restera in Italia? A migliaia di chilometri, in una casa nell'ambasciata di Italia in India, Girone, da alcuni visto quasi un "ostaggio" del governo indiano che ha concesso il permesso a Latorre, lavora con l'addetto militare. Ma vuole sapere quando finirà l'esilio che lo separa dalla moglie Vania e dai figli Michele e Martina.

Al termine di 36 mesi di attesa, gli investigatori indiani non hanno ancora esplicitato i capi di accusa nei loro confronti. E il premier Narendra Modi, dopo aver snobbato le richieste italiane di dialogo, si rende ora conto che la sorte dei fucilieri, vittime della insensibilità e burocrazia locale, può ritorcerglisi contro nel momento in cui sta sollecitando un ruolo di primo piano per l'India a livello internazionale.

"Vite appese a un filo" - La compagna di Latorre, Paola Moschetti, ha sintetizzato i sentimenti dell'anniversario: "Sicuramente non ci arrenderemo fin quando la vicenda non sarà risolta e chiarita. Ma non si può vivere bene, le nostre vite sono appese ad un filo". E' probabile che decidendo di far scendere a terra in Kerala Latorre e Girone molti pensavano che la vicenda si sarebbe risolta presto. Un errore grave, frutto di scarsa conoscenza dei meccanismi politici e giuridici indiani che l'Italia, si deve ammettere, ha pagato caro.

Gli errori italiani e le arroganze indiane - Prima le indagini e i tribunali del Kerala, poi l'intervento che sembrava a torto risolutorio della Corte Suprema, hanno contribuito a trasformare un caso giudiziario internazionale in una matassa aggrovigliata che nessuno sembra poter districare. L'intervento della polizia indiana Nia, poi, ha fatto deragliare l'istruttoria per lo spettro della pena di morte, agitato in base ad una legge antiterrorismo (Sua Act) nonostante le assicurazioni politiche delle autorità governative indiane. La Corte Suprema, in seguito, ha accettato un ricorso italiano per l'eliminazione del Sua Act, mettendo la Nia nell'impossibilità di formalizzare i risultati dell'inchiesta perché per statuto non può che operare in base a leggi antiterrorismo. E i legali dei due fucilieri ora esigono che anche la Nia si tolga di mezzo.

In più la giurisprudenza prevalente conferma che per un incidente di questo tipo avvenuto a 20,5 miglia nautiche dalla costa - in acque contigue a quelle territoriali ma pur sempre internazionali - il diritto penale indiano è inapplicabile. Così l'India ha concesso la sua prima apertura, ricordando che il caso è "sub judice", ma ammettendo di "avere allo studio una proposta italiana per una soluzione consensuale della crisi".

Il piano "b", portare il caso a livello internazionale - Fonti accreditate ipotizzano che Delhi accetterebbe un accordo consensuale solo "se ratificato dai giudici". Di colpo l'udienza nella Cancelleria della Corte Suprema, fissata per il 9 marzo, e che sembrava di routine assume importanza perché potrebbe rilanciare le udienze sulla sostanza della causa (polizia implicata, giurisdizione), sospese da mesi. Se lo stallo continuasse, Roma farebbe partire il 'piano B' legato alla internazionalizzazione della causa, una opzione più volte evocata dalla Farnesina, ma tenuta nel cassetto. Essa avrebbe il merito di ridimensionare l'India. Ma certo non ridurrebbe i tempi della soluzione del caso.