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Violenze nel carcere di Torino, anche il direttore tra gli indagati

Le vittime erano i reclusi più fragili, che dimostravano qualche scompenso psichico. Secondo le accuse, erano obbligati a spogliarsi e a umiliarsi

Si sono concluse le indagini della Procura di Torino sulle presunte violenze, in alcuni casi di torture, ai danni dei detenuti del carcere del capoluogo piemontese Lorusso-Cutugno. Tra i 25 indagati figura anche il direttore Domenico Minervini e il capo delle guardie carcerarie Giovanni Battista Alberotanza i quali, secondo l'accusa, avrebbero sempre coperto gli episodi. Entrambi sono accusati di favoreggiamento, il direttore anche di omessa denuncia.

Minervini è accusato di favoreggiamento e omessa denuncia, il capo delle guardie solo del primo reato. Avrebbero coperto, secondo l'accusa, i casi di violenza commessi da alcuni agenti di polizia penitenziaria, in particolare nel braccio C del carcere torinese, dove sono rinchiusi i detenuti condannati o indagati per abusi sessuali.

Sei agenti erano finiti agli arresti domiciliari nell'ottobre scorso, e tra le accuse era comparsa anche quella di tortura, mai contestata prima in un'inchiesta sulle carceri italiane. Nel caso di un agente, rimesso in libertà, ma accusato di un solo episodio, i giudici del Tribunale del Riesame, avevano poi definito le vessazioni "degradanti ma non disumane", non ravvisando, quindi, la tortura.

Ma l'accusa resta nelle carte dell'inchiesta: i pm descrivono nelle indagini, affidate al Nucleo Investigativo Centrale della Polizia Penitenziaria, una serie di "condotte che comportavano un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona detenuta". Negli atti dell'inchiesta si risale fino a episodi relativi al 2017, quando erano circolate le prime voci di detenuti picchiati e umiliati dalle guardie nel carcere torinese. Violenze che avrebbero avuto come vittime soprattutto i reclusi più fragili, che dimostravano qualche scompenso psichico. Questi detenuti, senza distinzioni tra italiani e stranieri, sarebbero stati obbligati a spogliarsi, percossi e costretti a ripetere frasi come "sono un pezzo di m...". Le loro celle sarebbero state in alcuni casi devastate.

Nell'ordinanza di custodia cautelare, scritta nell'ottobre 2019 dal gip Sara Perlo gli agenti indagati si sarebbero comportati con "spudorato menefreghismo e senso di superiorità verso le regole del loro pubblico ufficio", dimostrando di "non credere nell'istituzione di cui fanno parte".

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