L'hip hop è il genere che più tira adesso? Non ditelo a Nesli. Lui che nel rap e nell'hip hop ci è nato, con "Andrà tutto bene", in uscita il 12 febbraio, porta a termine una metamorfosi iniziata nel 2012 con "Voglio" e che ora lo catapulta nel territorio cantautorale. "In realtà non ho mai scisso testi e melodie - spiega a Tgcom24 -, ma prima sottostavo alle regole del rap. I rapper sono cantautori 2.0? Chi lo dice non sa di che parla".
"Andrà tutto bene" è un progetto che contiene atmosfere diverse tra loro, dal pop rock che strizza l'occhio all'America, ma non mancano le ballate intense, un pizzico di dance rock e persino uno sguardo ai Clash di "London Calling". Il tutto ovviamente a fare da vestito al cuore delle composizioni di Nesli, ovvero i testi, con parole ora forti ora delicate.
In questo album si percepisce una visione ottimistica e una voglia di sorridere di fronte alle difficoltà. E' così?
Sì, sorridere soprattutto in questo tempo. il mio "andrà tutto bene" è un'istantanea al presente. Il brano che porto al Festival è una lettera d'amore. Ha lo stesso peso di un anniversario, del festeggiare un incontro, soltanto che è una fine. Io ho sempre avuto fortuna sui finale, anche perché la fine presuppone un inizio. E' una forma di poetica che porta avanti da un po', già con il brano "La fine". Ho voluto raccontare in questo brano non qualcosa che non sia tangibile o concreto ma in realtà concreto tanto quanto un addio.
A proposito di Sanremo, come procede l'avvicinamento all'evento?
Per me bene, sono gli altri che sono nervosi. Battute a parte, la sto vivendo con grande entusiasmo. Intorno all'evento c'è un'energia pazzesca e mi piace tantissimo l'interessamento che c'è per la canzone, cosa durante l'anno non accade mai. Su questa cosa sento un grosso peso, in senso positivo, e una grande magia.
Tornando all'album: l'"Andrà tutto bene" del titolo è una speranza o una convinzione?
Una convinzione. Io lo ripeto come mantra, tanto da convincermi. L'augurio è nella lettera, ma nell'album c'è una ferma convinzione che deve e andrà così. E' una sorta di paraocchi nei confronti di una prospettiva positiva.
Molti dicono che i rapper sono i cantautori della nostra epoca. Questa tua trasformazione conferma o smentisce questa tesi?
La smentisce, perché una cosa esclude l'altra. In realtà il fatto che i rapper siano i cantautori 2.0 è una tesi che viene portata avanti dai rapper stessi...
E tu non sei d'accordo?
No, perché ci sono delle regole ben precise. Il rap impone un tubo verbale di due note. Il rap nel momento in cui diventa famoso e popolare è perché sta diventando pop. Credo sia fuorviante proclamarsi, da rapper, nuovo cantautore, perché in realtà significa che non lo sei, che non conosci la differenza. Quando il genere ha avuto più risalto mediatico ha fatto comodo dire “sono il nuovo cantautore”, perché il rapper sa che c'è un pregiudizio nei suoi confronti.
E tu senti pregiudizio per te che vuoi ora proporti come cantautore?
Non un vero pregiudizio ma scrivo canzoni da tanto tempo, eppure nonostante questo presentarmi da cantautore e levarmi l'etichetta del rapper è una guerra.
Quindi rap e pop sono mondi inconciliabili?
Sono due cose separate, due culture diverse: da noi è radicata la cultura e la coscienza pop, in America quella rap. Sono compartimenti stagni che, nonostante facciano entrambi della parola una virtù, fanno fatica a parlarsi. Senza contare che per il rap il centro di tutto è la metrica, per il pop invece è la melodia.
Hai avuto difficoltà ad adattare la tua scrittura ai nuovi pezzi?
No, ma perché in realtà il mio non è stato un cambiamento ma un'evoluzione naturale. La vera difficoltà è stata quando, trovandomi all'interno del "contenitore rap", pur sapendo di scrivere canzoni e melodie, non potevo esternarle perché bisognava stare alle regole. Io ho sempre scritto parole e melodie senza slacciare le due cose. Nel momento in cui il mio campo da gioco era il rap cercavo di rispettare le regola eliminando le melodie proprio per avere quel tubo di due note. Però se ascoltando con attenzione si percepiva già allora la volontà di andare da un'altra parte.