Tra le priorità indicate dall'Unione europea per rilanciare l'economia anche il recupero di competitività. Che in qualche modo, nei piani attuali, potrebbe avvenire adottando una maggiore flessibilità, purché si rispettino regole e parametri. Anche a questo scopo, infatti, tornerà utile incentivare investimenti sia pubblici che privati.
Nelle sue intenzioni la Commissione europea, attraverso il piano Juncker, mira ad attrarre investimenti (per un valore complessivo di 315 miliardi di euro), con la creazione di un nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici garantito da fondi pubblici, la creazione di "una riserva di progetti" e, infine, un percorso condiviso che renda l'Europa più attraente per gli investimenti tramite procedure più snelle.
Quasi un anno fa (febbraio 2014) il presidente della Banca centrale europea (Bce), Mario Draghi, invitò i governi a lavorare per ristabilire la competitività degli Stati. "Se le nazioni meno competitive fanno riforme che aiutano la crescita – osservava allora Draghi –, le loro economie convergeranno verso quelle più forti e la finanza seguirà il trend".
Essere competitivi, per un ente pubblico o un'azienda, vuol dire saper stare sul mercato nel lungo periodo ed essere in grado di "competere", appunto, con la concorrenza. Una peculiarità che presuppone un rinnovamento costante e che di certo una fase di stagnazione economica, come quella che in particolare coinvolge l'Eurozona, non agevola.
Quello delle riforme è un tema ricorrente, vero, ma che assume ora una validità più credibile considerata la possibilità di deviare dal percorso di risanamento se si attuano misure e provvedimenti che abbiano un impatto duraturo su crescita e occupazione.
In definitiva anche il Quantitative Easing (il programma di acquisto di titoli di Stato), il cui annuncio è atteso il 22 gennaio in occasione del Consiglio direttivo della Bce, verte in questa direzione. Perché è probabile che l'effetto più immediato sia il calo dell'euro (motivo per cui, ad esempio, la Banca nazionale svizzera ha deciso giovedì 15 gennaio di abbandonare la soglia minima di cambio con la moneta unica), con il fine ultimo d favorire crescita e prezzi (mantenere il tasso di inflazione poco inferiore al 2% è tra le prerogative di Francoforte).
Una massiccia iniezione di liquidità avrebbe, dunque, come effetto quello di svalutare l'euro e di conseguenza rendere più competitive le imprese particolarmente orientate alle esportazioni. Ma dall'altro si rende comunque urgente investire creando migliori prospettive in termini di produzione e occupazione. In un momento, dopo anni di politiche restrittive, in cui c'è assoluto bisogno di più lavoro e competitività.