A Strasburgo si è consumato l'ultimo atto della presidenza italiana del Consiglio europeo. Parlando al Parlamento, il premier Matteo Renzi ha stilato un resoconto del semestre trascorso guidando l'Unione europea. Che, sostiene il presidente del Consiglio, avrebbe finalmente spostato la propria attenzione sulla crescita, sull'occupazione e sulla competitività. Tanti sono però gli indicatori macroeconomici che ricordano come il lavoro da fare sia ancora molto.
Nel corso degli ultimi mesi, alcuni degli Stati membri – Italia e Francia, tra gli altri – hanno sollecitato a lungo l'allentamento delle politiche di austerità fin qui adottate. Il presupposto è l'inversione di tendenza rispetto alle decisioni degli ultimi tempi allo scopo di tornare a crescere. Il peso della Germania, però, si fa ancora sentire e il raggiungimento del pareggio di bilancio resta una priorità per l'economia trainante dell'Europa.
Tra austerity e crescita, in ogni caso, timidi segnali di ripresa non sono mancati: nel terzo trimestre del 2014, secondo quanto rilevato dall'ISTAT nell'Eurozone economic outlook, il Pil (Prodotto interno lordo) della zona euro è cresciuto dello 0,2%: lo stesso tasso previsto per il quarto trimestre. La conferma di un momento di risalita rispetto ai mesi precedenti arriva infatti dalla produzione industriale che, dopo la prima contrazione registrata tra luglio e settembre, è tornata a crescere in ottobre dello 0,1%.
Una crescita, per quanto lieve, destinata a proseguire anche nei prossimi mesi. Trainato dalla domanda interna (altrimenti molto debole per diversi periodi negli anni della crisi) – a sua volta stimolata dai bassi prezzi energetici (il costo del petrolio, ricordiamo, dovrebbe stabilizzarsi nei primi tre mesi dell'anno attorno ai 56 dollari per barile) – il Pil dovrebbe aumentare dello 0,3% sia nel primo e sia nel secondo trimestre del 2015.
Suscita invece ulteriori apprensioni la deflazione (la diminuzione del livello generale dei prezzi) nell'area euro: complice il crollo del costo dell'energia (-6,3%), a dicembre il livello generale dei prezzi è sceso infatti dello 0,2%.
Negli ultimi mesi, quindi, l'Europa si è cominciata a muovere seguendo la necessità di incentivare la crescita. Effettivamente il 26 e il 27 giugno scorso il Consiglio europeo aveva approvato la propria agenda strategica, ponendo la crescita, la competitività e la creazione di posti di "maggiori e migliori" posti di lavoro in cima alla lista delle priorità chiave per il prossimo quinquennio.
Del resto, quello occupazionale è un problema che desta particolari preoccupazioni: a dicembre il tasso di disoccupazione – ovvero la quota delle persone in cerca di occupazione sulla forza lavoro – nell'Unione europea a 28 è calato in modo lieve sia su base mensile (dal 10,1 al 10%) sia annua (dal 10,7 al 10,1%). A novembre, secondo i dati destagionalizzati pubblicati da Eurostat, nell'eurozona il tasso di disoccupazione ha invece toccato quota 11,5% (-0,4% su base annua). Nell'ultimo mese dell'anno, gli europei senza un lavoro erano così 24,4 milioni (18,4 milioni dei quali nella zona euro): un numero ancora troppo elevato.
Sul finire di novembre è poi arrivato il piano del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, pensato proprio per incentivare gli investimenti che nel secondo trimestre del 2014 sono stati inferiori del 15% rispetto a quelli del 2007 (430 miliardi in meno). L'UE ha promesso quindi di investire 315 miliardi entro il 2017, sfruttando l'effetto moltiplicatore dei 21 effettivamente stanziati.