La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Patrizio Franceschelli per l'omicidio del piccolo Claudio, il figlio di 16 mesi che l'uomo gettò nel Tevere il 4 febbraio 2012. Franceschelli era stato condannato a 30 anni con rito abbreviato sia in primo sia in secondo grado per omicidio volontario aggravato dal vincolo di parentela, dopo che la perizia del tribunale l'aveva dichiarato lucido e cosciente al momento del fatto.
Dopo aver litigato con la compagna, ricoverata in ospedale, il giorno della straordinaria nevicata su Roma, il 4 febbraio del 2012, Franceschelli, 27 anni, andò a casa della suocera e portò via Claudio. Vagò per la città con il bimbo al seguito fino al Lungotevere all'altezza di ponte Mazzini, e da lì getto il figlio nel fiume.
Il bambino era diventato un peso e motivo della discordia per via dell'affidamento. Se lui non l'avesse avuto, non voleva che nemmeno la madre l'avesse. Dopo aver gettato il bambino nel Tevere l'uomo vago' per la città per alcuni minuti, poi venne fermato dai carabinieri con i quali ammise: "L'ho gettato io nel Tevere". Il corpo sarebbe riemerso quasi due mesi dopo a Fiumicino.
Con il passaggio in giudicato della sentenza, Franceschelli dovrà anche risarcire le parti civili, la mamma e la nonna del piccolo, cui i giudici hanno assegnato 200mila euro, e il Comune di Roma che si era costituito in giudizio. La difesa ha provato a sostenere per tutto il processo il vizio di mente, ma la perizia del tribunale ha accertato che in quel momento l'uomo era lucido e cosciente. Una conclusione che i giudici della prima sezione penale della Cassazione, specializzata in omicidio, hanno condiviso. Per uguale richiesta si era pronunciato anche il sostituto procuratore generale Massimo Galli nella sua requisitoria.