Dal 2007, Bruxelles ha assistito ad un notevole calo di investimenti pubblici e privati. Un'emorragia che il piano presentato dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker intende arginare. Tanti i soldi messi a disposizione, almeno in linea teorica, e che dovranno essere usati al meglio dai partner dell'UE, cosa che in molti casi non si è verificata.
L'Unione europea vuole utilizzare un fondo per generare un effetto leva fino ad arrivare ai 315 miliardi annunciati da Juncker. Il primo passo prevede la creazione di un nuovo fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI) e il coinvolgimento della Banca europea degli Investimenti (BEI).
L'obiettivo, come già sottolineato, è quello di rilanciare gli investimenti (pubblici e privati) in Europa, che nel secondo trimestre del 2014 sono stati inferiori del 15% rispetto a quelli del 2007 con una perdita di circa 430 miliardi. In Italia, nel 2013 il rapporto investimenti/Prodotto interno loro è sceso al 17%: il minimo dal dopoguerra.
Il capitale a disposizione dell'EFSI sarà di 21 miliardi di euro: cinque miliardi verranno stanziati dalla BEI mentre i restanti 16 proverranno dai fondi di bilancio dell'Unione europea (otto dei quali saranno reperiti da risorse già stanziate come il fondo per le infrastrutture Connecting Europe Facility e Horizon 2020, che rispettivamente garantiranno 3.3 e 2.7 miliardi).
I 21 miliardi serviranno alla BEI per emettere obbligazioni e raccogliere fondi sul mercato per un valore complessivo di 60 miliardi. Denaro che servirà a finanziare i primi progetti ed ad attirare nuovi investimenti per almeno 315 miliardi di euro.
In pratica: secondo le stime della Commissione europea, ogni euro del Fondo dovrebbe generarne altri 15 di investimenti pubblici o privati. Tutto questo in un periodo di tempo limitato: tra il 2015 e il 2017. Se ogni cosa andrà come auspicato, il piano Juncker permetterà la creazione di 1,3 milioni di posti di lavoro e di aumentare il Prodotto interno lordo europeo di 330-410 miliardi di euro. Dei 315 miliardi finali, 240 saranno destinati a progetti strategici, 75 a piccole e medie imprese. Diverse le aree coinvolte: formazione, energia, ricerca e formazione.
Fin qui è tutto chiaro. Semmai il problema – o “il paradosso”, per dirla alla Juncker – è un altro: l'eccessiva burocrazia che ostacola gli investimenti e a volte l'utilizzo dei fondi comunitari. In Italia, dove i fondi strutturali e di investimento europei sono quattro (il Fondo europeo di sviluppo regionale; il Fondo sociale europeo; il Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca; il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale), ne sappiamo qualcosa. Il nostro Paese è da sempre, rispetto ai partner dell'Unione europea, uno di quelli maggiormente indietro nella fruizione dei fondi dell'Ue, che – è bene ricordare – l'Italia contribuisce e non poco a reperire.
Le statistiche, elaborate dall'Eurispes ed aggiornate all'aprile del 2014, sono sconfortanti: il tasso di realizzazione del Programma di spesa dei fondi strutturali nel periodo 2007-2013 da parte dell'Italia si attesta al 45% contro una media UE del 60,81%. Peggio di noi hanno fatto soltanto la Romania (37%) e la Croazia, ferma al 22%. Zagabria gode comunque di tutte le attenuanti del caso: essendo stata ammessa nell'Unione solo nel 2013, ha avuto meno tempo a disposizione di spendere le risorse. E così dei 27,92 miliardi assegnatici ne abbiamo investiti poco meno della metà, con il resto che deve necessariamente essere speso a breve: salvo proroghe, entro due anni, si completa il disimpegno automatico per cui i soldi tornano a Bruxelles.
Generalmente l'incapacità dell'Italia nell'investire i fondi comunitari è riconducibile a due motivi. Il primo: il dirottamento delle risorse da parte del governo centrale verso diversi capitoli di spesa. Il secondo: l'assenza di competenze nelle istituzioni locali in grado di sviluppare progetti o individuare strategie mirate. Sarebbe quindi opportuno cambiare qualcosa, perché di qui a breve l'Unione europea metterà a disposizione del nostro Paese nuovi fondi.
Solo qualche giorno fa, la Commissione europea e l'Italia hanno sottoscritto un accordo che prevede investimenti per 32,2 miliardi di euro a titolo della politica di coesione nel periodo 2014-2020. Soldi che potranno tornare utili per incentivare la crescita economica del Paese, la sua innovazione, a ridurre la disoccupazione e a combattere l'esclusione sociale.