Ricerca e Sviluppo, l'Italia arranca
Il nostro paese ha destinato al settore solo l’1,25% del Pil. L’obiettivo della strategia Europa 2020 è raggiungere almeno il 3%.
Nella legge di Stabilità 2015 il governo ha compiuto un timido passo verso il raggiungimento degli obiettivi europei, comunque ancora distanti, riguardo gli investimenti in Ricerca e Sviluppo. In particolare si prevede lo stanziamento di 300 milioni di euro da destinare al credito d'imposta sugli investimenti in R&S. Un incentivo necessario visto che ancora oggi le Piccole e medie imprese italiane (che rappresentano oltre il 90% del tessuto imprenditoriale italiano) associano al concetto di ricerca quello di alto rischio e di non rientro dell'investimento.
Sono numerosi i motivi che spingono, o almeno dovrebbero spingere, un Paese a investire in Ricerca e Sviluppo (intesa dall'Ocse come un insieme “di lavori creativi intrapresi in modo sistematico sia per accrescere l'insieme delle conoscenze, sia per utilizzare tali conoscenze in nuove applicazioni”). Senza dubbio quello che più interessa l'Italia è il rilancio della produttività, che di conseguenza porta occupazione e maggiore competitività, contribuendo alla crescita economica.
Oggi l'Italia è molto indietro rispetto alle maggiori economie d'Europa in fatto di investimenti in R&S. Il nostro Paese, come spiega il Rapporto Noi Italia 2014 dell'Istat, ha investito nel 2011 una cifra pari 19,8 miliardi di euro, lo 0,4% in meno rispetto al 2010, destinando al settore della ricerca appena l'1,25% del Pil. Ben lontano dall'obiettivo del 3% previsto dalla strategia Europa 2020. Calcolando che solo la Finlandia e la Svezia hanno raggiunto, e superato, l'obiettivo, verrebbe da dire poco male. Ma è anche vero che, nonostante non il mancato raggiungimento del 3% stabilito dall'Europa (per il quale c'è ancora tempo), sono almeno otto i Paesi che si avvicinano a tale traguardo e 16 i Paesi che riservano a R&S una quota del Pil maggiore di quella italiana. Per questo è sempre più importante incentivare gli investimenti privati, fermi allo 0,69% del Pil, contro il 2% chiesto dall'Europa 2020.
Nonostante il contributo delle imprese al settore della Ricerca e dello Sviluppo sia passato dal 53,9% del 2010 al 54,6% del 2011, il dato è ancora ben lontano dalla media europea e ancor di più dai Paesi più virtuosi. Il dato europeo è infatti pari al 63,1%, in Germania si attesta invece al 67,7, in Francia al 63,9% e nel Regno Unito al 63,6%. Il contributo privato agli investimenti in R&S dei due Paesi in testa alla classifica, Slovenia e Finlandia, supera addirittura il 70%.
L'importanza degli investimenti in Ricerca e Sviluppo è riassumile dai cinque obiettivi della strategia Europa 2020. La stessa Commissione europea sottolinea infatti l'interconnessione e la reciproca utilità dei singoli obiettivi. Investire in Ricerca e Sviluppo significa anche investire in nuove tecnologie utili per la riduzione dei gas serra, consentendo quindi di combattere i cambiamenti climatici e, al contempo, di creare nuove opportunità commerciali e di lavoro.
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