Pink Floyd, un fiume di note per celebrare il proprio passato
"The Endless River" è per il gruppo inglese un passo d'addio di grande qualità anche se non manca una sensazione di incompiutezza
Evento nella musica d'oggi è una definizione fin troppo abusata. Siamo abituati a vivere almeno un evento musicale alla settimana, pronti a bruciarlo nel giro di pochi giorni se non di poche ore, in attesa del successivo. Si tratti del disco del gruppo di punta, della reunion della band sparita da anni o del tour d'addio (l'ennesimo) del tale artista, si vive di appuntamenti storici. Certo è che quando l'appuntamento in questione è il primo album dei Pink Floyd dopo vent'anni, album che quasi certamente sarà anche l'ultimo della band inglese, è difficile sminuirne la portata.
Che l'attesa fosse altissima lo dimostra anche la reazione del pubblico, che solo in preorder ha portato “The Endless River” a scalzare dalle classifiche gli One Direction. E siamo pronti a scommettere che sia solo l'inizio, perché la stragrande maggioranza della (vastissima) fan base dei Pink Floyd è composta da chi è ancora affezionato a quell'idea tanto vintage e retrò che un disco è anche bello comprarlo. Meglio ancora se in formato fisico, per godersi copertina e testi e non piazzare solo un pugno di file nel proprio smartphone. Parliamo di reduci, inguaribili nostalgici. Ma non è un male perché proprio in quanto nostalgici potranno godersi maggiormente questo disco e giudicarlo con un pizzico di indulgenza. Perché “The Endless River” è un fiume infinito, e un po' accidentato, di autocitazioni del passato che fu. Se uno ha amato e ama le atmosfere dei Floyd farà molta fatica a non farsi coinvolgere da questo lavoro, ma è altrettanto difficile che possa amarlo al pari di uno qualsiasi dei suoi predecessori (sì, anche del tanto vituperato e sottostimato “The Final Cut").
David Gilmour ha ripreso in mano materiale composto e accantonato all'epoca del precedente “The Division Bell” (1994) cercando di costruirgli attorno un'idea unitaria, riuscendo nell'intento però in maniera flebile. Decisamente più centrato l'obiettivo di rendere omaggio al lavoro dello scomparso Rick Wright. Sono soprattutto le sue tastiere a dare vita a quel mondo in cui si viene trascinati, ed è proprio nei suoni e in certi passaggi armonici e melodici che si possono ritrovare frammenti dei vecchi lavori del gruppo, principalmente “Wish You Were Here” ma anche lampi da “The Wall” o “The Dark Side Of The Moon”. Un lungo fiume strumentale che scorre fino ad arrivare all'unica vera canzone dell'album, "Louder Than Words”, ampiamente anticipata settimane fa.
Aspettarsi di più da "The Endless River" sarebbe stato da inguaribili sognatori. Ma è un passo d'addio che non fa danni, che non sporca una storia musicale gloriosa e che a tratti riesce ad evocare in alcuni dei suoi elementi distintivi. Senza contare una qualità sonora e compositiva al di sopra di gran parte della musica che ci inonda oggi. Ed è già moltissimo.
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