Una schiacciante maggioranza filo occidentale (oltre il 70%) di sei partiti, di cui due fortemente nazionalisti, un presidente di pace più debole e un premier di guerra molto più forte delle attese, un solo partito filorusso, e la scomparsa per la prima volta dal 1993 dei comunisti: è la fotografia delle elezioni parlamentari anticipate ucraine che sembrano complicare il dialogo con Putin sul conflitto nell'est del Paese, secondo i dati sostanzialmente simili di tre diversi exit poll.
Flop degli ultranazionalisti e del partito di Iulia Timoshenko - Dati che rivelano anche la sorpresa di Samopovich (Auto Aiuto), il giovane partito del sindaco di Leopoli, Andrii Sadovii, pieno di attivisti e combattenti, proiettato al terzo posto con una percentuale tra il 12,5% e il 14,2%, e il flop del partito radicale dell'ultranazionalista Oleg Liashko, fermo al 6%-7% quando fino a ieri era dato dai sondaggi come secondo partito con il 13%. Da segnalare anche l'evaporazione del partito "Patria" di Iulia Timoshenko, ex icona della rivoluzione arancione e "detenuta politica" sotto il presidente Ianukovich: è appena sopra la soglia di sbarramento del 5% (5,6%-6%).
Sicuramente fuori dalla Rada Pravi Sektor (2,4%), il partito ultranazionalista di estrema destra con connotazioni naziste, motore militare del Maidan.
Si attende ancora lo spoglio dei seggi uninominali - Per avere un quadro più certo bisognerà attendere lo spoglio in particolare dei 225 seggi uninominali, più permeabili a pressioni, corruzione e giochi di interesse oligarchici. Gli exit poll si riferiscono infatti solo alle 29 liste del sistema proporzionale con cui si attribuiscono gli altri 225 seggi. In ogni caso sono indicativi dei futuri rapporti di forza.
Poroshenko vince ma non sfonda - Poroshenko, che alle presidenziali di maggio aveva conquistato il 55%, non è riuscito a rafforzarsi nel parlamento: il suo blocco è al 23%-24%, contro il 30% della vigilia. "L'Ucraina ha votato massicciamente per un avvicinamento irreversibile all'Europa", ha commentato il capo dello Stato, protagonista anche di un blitz a Kramatorsk, nell'est del Paese, per ringraziare i soldati.
Il Paese resta diviso, l'avanzata del Fronte popolare incrina il dialogo con Putin - Ma il suo indebolimento rischia di ripercuotersi non tanto sull'integrazione europea e sulle riforme quanto sul dialogo con Putin per consolidare il processo di pace nelle regioni orientali, dove non si è votato nelle zone presidiate dai ribelli filorussi e l'affluenza in quelle controllate da Kiev è stata intorno al 25%, la metà di quella nazionale (53%). Tanto più che a rafforzarsi è stato il Fronte popolare del premier Arseni Iatseniuk, uno dei più feroci critici di Putin, catapultato alle spalle del blocco del presidente con oltre il 21%: la sua riconferma alla guida del prossimo governo appare quindi inevitabile, con il rischio di un duello a distanza tra presidente e primo ministro, come ai tempi di Iushenko e Timoshenko, i due eroi della rivoluzione arancione finiti ai ferri corti.
Samopovich si presenta invece come una forza nazionalista moderata ma potrà reclamare una adeguata presenza nel governo, a differenza del partito radicale (se verrà imbarcato nella coalizione) di Svoboda (Libertà, 5,8%-6,3%) e della Timoshenko.
I filorussi saranno (sotto) rappresentati solo dal Blocco di Opposizione (6,6%-7,8%), avatar del partito delle Regioni dell'ex presidente Ianukovich, guidato dal suo ex controverso ministro dell'energia Iuri Boiko e sponsorizzato da due oligarchi: Rinat Akhmetov, l'uomo più ricco del Paese, e Dmytro Firtash. Non ce l'ha fatta Ucraina Forte di Serghiei Tighipko (2,6%), ex vicepremier di Ianukovich.
I comunisti per la prima volta fuori dal Parlamento - Fuori, per la prima volta dopo 20 anni, anche i comunisti (2,9%), visti ormai come gli eredi dell'odiata Urss e travolti da un odio che ha abbattuto anche quasi tutte le statue di Lenin nel Paese. Le elezioni sono state quindi un vero terremoto, ma la strada delle riforme e della pace a est resta in salita, in un Paese sull'orlo del baratro economico e dove le elezioni sono state monche: non si è votato nella Crimea "occupata" dalla Russia, né nelle zone in mano ai ribelli, con una trentina di seggi che nella Rada resteranno vuoti, come una ferita aperta.