MONUMENTO DEL GIORNALISMO

"Washington Post": morto Ben Bradlee, il direttore dello scandalo Watergate

Il giornalista, malato da tempo di Alzheimer, si è spento a 93 anni. Il presidente Obama lo ha ricordato come un "vero reporter che aiutò a capire il mondo"

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Ben Bradlee, il carismatico direttore del "Washington Post" che guidò il giornale durante lo scandalo del Watergate, è morto all'età di 93 anni. La notizia è stata data dallo stesso giornale. Bradlee, che da diversi anni soffriva del morbo di Alzheimer e di demenza senile, è morto nella sua casa. Ricordandolo, il presidente Usa Barack Obama lo ha definito "un vero reporter che ci ha aiutato a capire il mondo".

Bradlee è stato un vero monumento del giornalismo americano, per molti quasi una leggenda. Fu lui a spingere i due giovani cronisti Bob Woodward e Carl Bernstein a seguire la storia, a indagare a fondo per essere certi che la verità saltasse fuori, mettendosi contro il presidente americano Richard Nixon, che alla fine fu costretto alle dimissioni. Un episodio del giornalismo che ha fatto storia e che venne immortalato nel film "Tutti gli uomini del presidente", dove Bradlee venne interpretato in maniera memorabile da Jason Robards che vinse l'Oscar e ricevette i complimenti dello stesso direttore del "Washington Post".

Il presidente Obama, che lo scorso anno gli aveva consegnato la medaglia della libertà, lo ha elogiato per aver aiutato gli americani a capire il mondo in cui vivono attraverso il suo giornalismo. "Lo standard che ha fissato - per onestà, obiettività e il racconto meticoloso - ha incoraggiato molti altri a intraprendere la professione", ha detto Obama. Ovviamente non potevano non ricordarlo i suoi due pupilli protagonisti dell'inchiesta sul Watergate, Bob Woodward e Carl Bernstein, che sul Post lo hanno definito "un vero amico e genio", hanno scritto sul Post.

Ma se l'inchiesta sul Watergate resta la più avvincente e popolare, la decisione più importante presa da Bradlee, insieme all'editore di allora Katharine Graham, fu quella di pubblicare nel 1971 alcuni articoli basati sui cosiddetti 'Pentagon papers', ovvero le 7.000 pagine di documenti top-secret sulla guerra in Vietnam. L'amministrazione Nixon si rivolse al tribunale per cercare di bloccarne la pubblicazione, ma la Corte Suprema accolse la richiesta del "Washington Post" e del "New York Times" di pubblicare la vicenda.

Con Bradlee in redazione, prima come capo redattore poi come direttore, le vendite del Wp quasi raddoppiarono così come la redazione. Bradlee, allargò la rete di corrispondenti intorno al mondo, aprì diversi uffici nella regione di Washington e in altri Stati, e creò altre sezioni nel giornale, per esempio "Style", una dei progetti di cui fu più orgoglioso e che poi fu copiato da altre testate. Alla fine la buccia di banana arrivò anche per lui, quando venne tradito da una delle sue giovani reporter: Janet Cooke scrisse una storia che riguardava un tossicodipendente di 8 anni. La cronista vinse il premio Pulitzer nel 1981, ma furono in molti a dubitare della veridicità.

Alla fine, Cooke confessò di averla inventata. "La credibilità di un giornale è il suo bene più prezioso e dipende molto spesso dall'integrità dei suoi giornalisti. Quando questa viene meno, le ferite sono gravi e non c'è altro da fare che dire la verità ai lettori, chiedere scusa al comitato del premio Pulitzer e iniziare immediatamente a risalire la china per guadagnare quella credibilità", disse all'epoca Bradlee.