Gli scontri che da domenica 12 luglio hanno insanguinato il confine tra Armenia e Azerbaigian sono l'ultimo episodio di una contesa territoriale innescata dalla dissoluzione dell'Unione Sovietica. Per le tensioni della settimana scorsa i rispettivi ministeri della difesa si accusano a vicenda di attacchi ai civili. Il bilancio finora è di 16 morti, trasversalmente agli schieramenti.
Tutto inizia con Gorbačëv - È il 1986 e Michail Gorbačëv, da un anno alla guida del Partito Comunista sovietico, inaugura una stagione riformista per lo Stato federale. Nel dibattito pubblico ricorrono parole come "uskronéiye" (accelerazione), la più celebre "perestroika" (ricostruzione), quindi "glásnost", letteralmente "trasparenza".
L'allargamento delle maglie della censura incoraggia, tra l'altro, il rifiorire delle culture nazionali in tutta l'Unione Sovietica. Nel 1988 l'Armenia chiede senza risultato la restaurazione del proprio idioma come lingua ufficiale. Il riemergere delle identità nazionali spinge il Nagorno Karabakh, una piccola regione a maggioranza armena nel sudovest dell'Azerbaigian, a chiedere la correzione dei confini tracciati da Stalin nel 1923.
Fra le proteste dei dirigenti comunisti azeri, il soviet locale indice votazioni per il distacco dall'Azerbaigian, ma il Politbjuro respinge la richiesta. Scoppia il caos. Nella capitale armena Yerevan in migliaia scendono in piazza, gli operai proclamano sciopero generale; fa altrettanto la minoranza azera nel Nagorno Karabakh. Le parti arrivano allo scontro il 22 febbraio del 1988, ad Askeran. La morte di due azeri innesca una caccia all'armeno nei sobborghi di Baku, capitale azera. Per sedare le rivolte le truppe sovietiche occupano Yerevan manu militari.
Nel 1990 il copione si ripete più o meno negli stessi termini ma un anno dopo, quando l'Unione Sovietica si dissolve e la bandiera rossa viene ammainata dal Cremlino, non ci saranno più le truppe dello Stato federale a fare da tampone. Il Nagorno Karabakh proclama la separazione dell'Azerbaigian. Baku considera l'atto illegale, Yerevan dichiara il suo supporto ai separatisti.
Nel 1992 il conflitto si intensifica e diventa una vera e propria guerra civile. Il 6 gennaio viene ufficialmente proclamata la repubblica di Nagorno Karabakh e contestualmente cominciano i primi bombardamenti azeri sulla regione. Visto il perpetrarsi delle violenze, il gruppo di Minsk dell'OSCE (Russia, Stati Uniti e Francia) trattò il cessate il fuoco con la firma del protocollo di Biškek nel 1994.
La "guerra dei quattro giorni"- Una relativa stabilità è stata conservata sino al 2016, l'anno della cosiddetta "guerra dei quattro giorni" in cui l'Azerbaigian riguadagna il controllo sui alcune parti del territorio violando gli accordi del 1994. In circa trent'anni di guerra si contano circa 25mila vittime e più di un milione di sfollati, di cui 400mila armeni e circa 700mila azeri.
Una nuova trattativa di pace condotta dal gruppo di Minsk aveva retto fino a domenica scorsa, quando tra le fazioni sono scattate nuovamente provocazioni, scontri diretti, diverse vittime. Di nuovo al lavoro le diplomazie per tentare la difficile quadra tra due principi della legge internazionale: l'integrità territoriale e il diritto all'autodeterminazione dei popoli.