Morì durante arresto, Corte d'Assise: "Ferrulli, non ci fu violenza gratuita"
I "colpi" dei poliziotti, si legge nelle motivazioni dell'assoluzione dei quattro agenti, sono stati necessari per "vincere la resistenza"
"Ai danni di Michele Ferrulli non vi fu alcuna gratuita violenza". Lo scrive la Corte d'Assise di Milano motivando l'assoluzione di quattro poliziotti, nell'inchiesta sulla morte del manovale avvenuta per arresto cardiaco nel 2011 mentre gli agenti lo stavano ammanettando a terra. I "colpi" dei poliziotti, secondo la Corte, erano necessari per "vincere la resistenza".
I quattro agenti, che erano accusati di omicidio preterintenzionale, sono stati assolti perché "il fatto non sussiste" il 3 luglio dalla Corte d'Assise di Milano (presidente del collegio Guido Piffer), mentre la Procura per loro aveva chiesto 7 anni di carcere.
La Corte ha stabilito che quella sera del 30 giugno 2011 i quattro poliziotti della volante 'Monforte Bis', che erano intervenuti per una segnalazione di schiamazzi in strada in via Varsavia, periferia sud-est di Milano, agirono correttamente nel corso dell'ammanettamento di Ferrulli, che opponeva resistenza. Stando alla perizia medica, l'uomo, che quella sera si trovava vicino ad un bar con due amici romeni e aveva bevuto molto, soffriva di ipertensione e venne colpito, nelle fasi dell'arresto, da una "tempesta emotiva" che provocò l'arresto cardiaco.
Nelle motivazioni, appena depositate, i giudici spiegano che il dibattimento "ha dimostrato l'infondatezza della contestazione del reato", perché gli agenti hanno tenuto una condotta di "contenimento", che era "giustificata dalla legittimità dell'arresto". Secondo i giudici, in realtà, a differenza di quanto contestato dalla Procura i poliziotti non usarono "alcun corpo contundente" e la loro "condotta di percosse consistette nei soli 'tre colpi' e 'sette colpi'" dati "in modo non particolarmente violento".
Una condotta, secondo la Corte, "giustificata dalla necessità di vincere la resistenza del Ferrulli a farsi ammanettare" e che si "mantenne entro i limiti imposti da tale necessità, rispettando altresì il principio di proporzione". La "piena legittimità" di tale condotta, secondo i giudici, "ne esclude dunque l'antigiuridicità".
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