Le passioni di Man Ray in mostra a Udine
Nelle stanze della suggestiva Villa Manin un viaggio attraverso i lavori del pittore e fotografo americano senza regole, che fece della libertà e delle donne la sua unica ragione di vita
La mostra di Man Ray val la pena di vederla anche solo per visitare Villa Manin. Arrivare nella maestosa casa padronale dell'ultimo doge veneziano che ospitò Napoleone è già come entrare in un sogno nel sogno: la struttura principale è cinta da un portico che si sviluppa "a tenaglia" all'interno del quale batte un cuore d'erba verde mentre nelle stanze dell'edificio-madre pulsa l'appassionante mostra di Emmanuel Radnitzky, il pittore e fotografo americano di origine ebraica nato nel 1890 e morto nel 1976, che insieme agli amici Salvador Dalì, Andrè Breton, Katherine Sophie Dreier, Jean Cocteau, Pablo Picasso, Max Ernst, Dorothea Tanning, Marcel Duchamp rivoluzionò l'arte e il suo modo di pensarsi.
La mostra si sviluppa in 19 stanze e trecento opere, tra cui foto, quadri, sculture e video, e racconta le passioni di Man Ray. Ciò che colpisce di più nel susseguirsi di lavori infatti è la vita eccentrica, provocatoria nello stile e nei contenuti, di questo grandissimo fotografo e pittore. Ed è lei la vera superstar della personale di Villa Manin.
Man Ray non amava le definizioni, ma sentiva di appartenere all'avanguardia, espressione artistica che a New York fu capita solo dopo la morte del fotografo, e che invece esplose anni prima in Europa. Fu Marcel Duchamp, con cui condivideva la passione per gli scacchi, a introdurre Emmanuel a Parigi dove passò i suoi anni migliori. Anni segnati dagli amori, i più importanti per Kiki di Montparnasse, Meret Oppenheim, Lee Miller, e dalla frequentazione della "corte" della marchesa Luisa Casati, sua mecenate. Era l'uomo-istrione, quello dei cappelli strani, divertente e ironico. Agli anni europei seguirono, dopo lo scoppio della Secondo guerra mondiale, il ritorno nella patria-natia, l'America, e il rientro voluto, anelato e sperato a Parigi.
Le donne, l'ultima fu la moglie Juliet Browner, come lui stesso disse, ebbero "un ruolo fondamentale nella sua vita". Furono le muse ispiratrici dei suoi sogni, che trascriveva appena sveglio e riproduceva nelle sue opere. Fu con la fotografia, che riuscì a sostentarsi economicamente, anche se il suo primo vero amore era la pittura. Era più forte di lui, rivoluzionava tutto ciò con cui entrava in contatto: era affamato di creatività e sconvolgimenti. Così negli anni 20 trasformò gli scatti in immagini surrealiste, con chiodi, bottoncini e tutto ciò che era a sua portata di mano, rendendoli irriconoscibili. Si inventò i Rayograph attraverso il processo di solarizzazione in camera oscura.
Le sue foto imposero un nuovo modo di vedere e pensare. A tal punto che durante una sua mostra a New York un diverbio, scatenato da quell'arte "urticante alla vista", culminò in una scazzotata di massa all'esterno della galleria. Non lo capirono neanche gli studenti, che durante un corteo di protesta contro i dadaisti colpirono con delle pietre il suo "Oggetto da distruggere", metronomo con l'immagine dell'occhio ritagliato di Lee Miller, creazione nata dalla sublimazione dell'abbandono della sua amata allieva.
Man Ray era un provocatore, un uomo libero e molto sensibile, che con il suo obiettivo colse l'anima delle persone - esemplari gli scatti di Picasso e di James Joyce, uomo estremamente schivo. Il suo sguardo vivisezionò molti personaggi noti dell'epoca, che solo da lui si lasciarono fotografare. Fu l'unico ad avere la possibilità di immortalare sul letto di morte Marcel Proust.
Anche nella moda, quando fu costretto a lavorare in quel campo per guadagnarsi da vivere, riuscì a scatenare nuove polemiche a causa del suo estro. Richard Avendon, uno dei più grandi fotografi del settore, lo criticò aspramente perché con lui le immagini "persero il senso della realtà e divennero arte".
In una delle interviste che costellano la visita, risalta il divertente racconto di una sua amica, proprietaria di uno dei suoi scatti più famosi, "Le violon d'ingres". La donna si lamentò con Man Ray quando vide altre copie della foto. Pochi mesi dopo le scuse e le rassicurazioni dell'artista sull'originalità dello scatto in suo possesso, la schiena di Kiki tappezzò i muri di mezza Torino, usata in un manifesto pubblicitario nel quale in chiosa c'era scritto "Creare è divino, riprodurre è umano". Umano, infine, come il suo amore per la libertà del marchese De Sade, "l'uomo che - secondo Radnitzky - era il più libero tra gli esseri viventi". Divenne anche lui fonte d'ispirazione, oggetto di studio da scandagliare. Ed è proprio con le opere e le foto su De Sade che chiude questo intenso percorso nella vita di un artista americano senza regole, che fece della libertà e delle donne la sua unica ragione d'esistenza.
Man Ray
A cura di Guido Comis e Antonio Giusa
e con la collaborazione della Fondazione Marconi.
In programma fino all'11 gennaio a Villa Manin di Passariano (Codroipo, Udine).
Per informazioni: www.villamanin-eventi.it/mostra_man-ray
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