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"Costituzione europea? Francofobia"

Editoriale di Ferrara sul Foglio

Editoriale del Foglio

di Giuliano Ferrara

Chissà come finirà, questa storia ambigua del trattato costituzionale europeo nato in una Convenzione che sapeva di grembiulini e di Vecchia Europa. Di sicuro c’è che Gioacchino Volpe, grande e appassionato storico di cui si torna a parlare dopo la energica provocazione revisionista di Ernesto Galli della Loggia e l’elegante ribattuta di Gennaro Sasso, la vedeva così, parlando dei francofili italiani del secondo Ottocento: “Siffatta francofilia, in quanto era qualcosa di diverso dal leale e doveroso riconoscimento della grandezza storica del popolo vicino e dal ricordo di comuni lotte combattute, ed era invece ossequio a miti rivoluzionari, ignoranza dello spirito nazionalistico della politica francese, inconscio asservimento alle direttive politiche di un Governo e di una nazione sostanzialmente mal disposti verso l’Italia, costituiva una passività non lieve della vita italiana, una diminuzione di libertà nella nostra politica estera”.

Volpe pensava alle “cure della rinascente massoneria che, importata originalmente in Italia da Inglesi e Tedeschi, aveva ricevuto poi, fra il XVIII e il XIX secolo, impronta francese ed era stata allora e tornava ora ad essere mezzo di collegamento fra partiti e gruppi politici francesi e italiani, cioè mezzo di azione politica della nazione più forte su la nazione più debole”. Lo storico aveva i suoi pregiudizi, ché non si scrive storia seria senza una visione delle cose, ma a tanto tempo di distanza, e in un contesto mutato radicalmente, qualcosa di quel sentimento rimane, l’idea cioè che quel che vogliono i francesi, un’Italia politicamente libera, in Europa, deve volere esattamente il contrario. A partire dal trattato costituzionale.

Loro vogliono il superstato europeo, per guidarlo. Vogliono un’economia sostenuta dal soldo di Stato in patria e all’estero, purché sia un’economia finanziaria e industriale di impronta francese o non concorrenziale con i francesi. Loro vogliono un mondo multipolare, ma non credono in un polo occidentale, preferiscono il magnetismo europeo di cui si sentono custodi per grazia della Révolution e dell’universalità dei diritti eguali che nel mondo moderno è giunta a un punto critico, e va messa in discussione. Loro vogliono la loro stessa volizione, dipendono dagli ordini a cui i vicini ubbidiranno per il loro stesso senso di sé, dissimulato da quella illustre maschera illuminista, da quel gallicanesimo fintamente ateo che è l’ésprit républicain.

All’Italia di Berlusconi, in cui intravedevano uno sviluppo naturale nel senso dell’amicizia con gli angloamericani, hanno riservato i peggiori oltraggi, che devono essere meticolosamente vendicati, uno per uno, nel segno della dignità e della libertà nazionale. All’idea di una riunione coordinata dal Cav., con i governi dell’Europa popolare e con la partecipazione straordinaria del socialista britannico Tony Blair, qualunque cosa ne sortisca, il nostro cuore risorgimentale, che ovviamente non esiste e non pulsa ma è una metafora di come la vediamo, batte forte.

Siamo spesso critici con questo governo amico, fino a mimare una vera inimicizia, ma la sua baldanza un po’ folle in politica estera, la sua tendenza a innovare e a non lasciarsi sopraffare dal già visto, dal già sentito, dal banale europeismo d’antan, ci entusiasma quasi. Forza: le costituzioni che ci piacciono sono quelle dei Federalist Papers, riconfermate da Abramo Lincoln, sono quelle che mettono l’individuo sopra lo Stato, e fissano i limiti del potere. Grembiule per grembiule, meglio il Rito Scozzese Antico e Accettato.