Bergamo e Brescia, due province confinanti che, per cultura e imprenditorialità, sono il cuore pulsante della Lombardia. Un cuore che è andato in fibrillazione quando giorno dopo giorno ha visto migliaia di vite venir meno, saracinesche abbassarsi, musei e chiese sbarrarsi. Due province che hanno messo da parte lo storico campanilistico antagonismo e si sono strette in un abbraccio salvifico, condividendo paura, ma anche speranza e fiducia. La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia ripercorre i mesi che hanno cambiato la vita di migliaia di persone e in alcuni paesi hanno cancellato un’intera generazione di uomini, donne, nonni e nonne.
È un viaggio nell’epicentro della pandemia lombarda, dove il Covid-19 si è portato via 5mila persone (questi i dati ufficiali ma le croci sono migliaia in più) e ha contagiato oltre 25mila persone. A raccontare tutto questo per Typimedia Editore è un giornalista che ha vissuto sul campo quei terribili giorni. Giuseppe Spatola, vicepresidente dei cronisti lombardi già al Corriere della Sera, inviato di Bresciaoggi e corrispondente lombardo di Agi. La sua narrazione parte dall’abbraccio simbolico tra Bergamo e Brescia, per arrivare a raccontare il miracolo dell’ospedale da campo, costruito dagli Alpini in appena otto giorni.
Le parole dell'autore - “Perdonatemi se non uso metonimie o giri di parole, ma il Coronavirus dopo mesi di trincea mi ha tolto la capacità di mediare e mentire - dice Giuseppe Spatola raccontando il lavoro fatto nel quotidiano che ha cercato di trasferire nel libro-. Se è vero che i numeri della pandemia disegnano scenari inimmaginabili, la realtà è oltre ed è un dramma senza fine. Brescia e Bergamo sono diventate moderne capitali del dolore dove due generazioni di uomini e donne sono state spazzate via da un morbo che per alcuni doveva essere «poco più di una influenza». Alla faccia. Credetemi se vi dico che in 25 anni di carriera giornalistica, prima al Corriere della Sera e quindi al Bresciaoggi da inviato, di cadaveri ne ho visti e raccontati a decine. Ma oggi, ogni sera che chiudo le pagine del Bresciaoggi, mi ritrovo a piangere da solo. Piango perché fare ogni giorno la macabra conta di incolpevoli morti segna il cuore e blocca la tastiera. Penso che non ci siano parole per poter rispettare tutti questi lutti. Da mesi scrivo e conto ogni benedetta croce che non ha potuto avere un saluto, un abbraccio e una benedizione. Per tutte queste vittime innocenti il libro dovrà essere un monumento scritto della memoria che inviti a ragionare e a mai dimenticare”.
Spatola racconta la storia della nonna di ferro che, a 100 anni, ha sconfitto il virus rimanendo a casa. Ma anche delle aziende che hanno convertito la propria produzione per fornire il gel igienizzante alla popolazione, o di altre che hanno reclutato operai volontari per costruire le bombole di ossigeno salvavita. Un dramma lungo settimane, passato dalla strage delle Rsa, che ha squassato anche l’economia, provocando oltre 8 miliardi di mancato fatturato alle imprese che sono la locomotiva dell’Italia, a cui però il presidente Mattarella e Papa Francesco, più di una volta, hanno fatto sentire la propria vicinanza.
Un libro dall'impianto giornalistico - Luigi Carletti, editore Typimedia, rilancia: “La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia è un’opera per onorare le vittime, ricordare chi ha combattuto in prima linea e capire gli errori da non ripetere mai più. Un’opera di memoria e di corale consapevolezza”. Nell'occhio del ciclone è stato descritto tutto l'orgoglio e la forza di reazione di una comunità plurale ferita ma non uccisa.
La Storia del Coronavirus a Bergamo e Brescia non si è però limitata alla lotta al virus: l'autore non ha tralasciato nulla. L'impianto di scrittura è giornalistico: tutto è stato descritto cronologicamente. Dalla sottovalutazione iniziale, alla diffusione della malattia, agli errori gravi e in buona fede, all'incubo negli ospedali, alle cremazioni, al tracollo industriale. E poi la solidarietà nazionale e internazionale, la riscossa, il lavoro dei medici e degli infermieri decimati, la riconversione delle imprese per produrre i dispositivi di sicurezza. Parole che diventano monumento, per non dimenticare.