Parole come Pil, inflazione, disoccupazione e spread sono diventate di uso comune, soprattutto per parlare di attualità. Il significato è noto a grandi linee, ma è difficile conoscere le implicazioni che queste parole (a volte sigle) hanno sul mondo reale. Tanto per cominciare, sono concetti indipendenti che tuttavia hanno in qualche modo un rapporto tra loro. Per capire però le profonde connessioni, bisogna analizzare ogni elemento singolarmente. Con questo articolo rispondiamo alla richiesta del nostro lettore Giulio Dalbosco che ci ha chiesto su questo argomento una news on demand.
Inflazione: cos’è e come si calcola - In macroeconomia si definisce inflazione un incremento prolungato in un lasso di tempo preciso del livello medio generale dei prezzi di beni e servizi. In seguito a questo aumento, il valore reale della moneta risulta inferiore rispetto al passato. Quando si misura l’incremento medio dei prezzi, il peso maggiore viene attribuito alle variazioni che riguardano beni e servizi per i quali i consumatori spendono normalmente di più (per esempio, l’energia elettrica). Meno considerate sono spese inferiori come quelle per lo zucchero o i francobolli.
Per calcolare l’inflazione, si tiene conto di tutti i beni e i servizi consumati dalle famiglie. Questo significa che l’analisi dei prezzi viene fatta su generi di uso quotidiano (per esempio alimenti, giornali e benzina), beni durevoli (capi di abbigliamento, computer, lavatrici), servizi (affitto, parrucchiere, assicurazioni). Tutti i beni consumati nell’arco di un anno compongono il cosiddetto paniere. Ogni voce di spesa ha un prezzo che può variare nel tempo e su 12 mesi il tasso di inflazione corrisponde al costo complessivo del paniere in un determinato mese rispetto a quello registrato nell’anno precedente.
Il fenomeno opposto all’inflazione è la deflazione. Si tratta di una diminuzione del livello generale dei prezzi. Non va confusa con la disinflazione, la quale corrisponde semplicemente a un rallentamento del tasso di inflazione.
Tasso di disoccupazione: cos’è e come si calcola - Il tasso di disoccupazione è uno dei parametri economici più importanti per valutare il benessere di un paese. Offre una panoramica della situazione del lavoro e della salute economica generale di un popolo. È sempre al centro di valutazione, polemiche e dibattiti. Tra quelli indicati in economia, il termine “disoccupazione” è usato non solo dagli analisti, ma anche dalla gente comune. Pochi però, se non gli addetti ai lavori, sanno come si calcola.
Il tasso di disoccupazione si ricava mettendo in rapporto percentuale il numero dei disoccupati e il totale della forza lavoro, ossia l’insieme di persone dai 15 ai 64 anni che hanno un’occupazione o la cercano. Sebbene il termine “inoccupato” non necessiti normalmente di spiegazione, in questo ambito deve essere ridefinito: viene infatti considerato disoccupato colui che non ha mai avuto neanche un’ora di lavoro retribuita nell’ultima settimana. Questo vuol dire che se una persona ha lavorato anche solo per un’ora in sette giorni ed è stata pagata in voucher, non viene considerata disoccupata.
Si tratta quindi di una misura non affidabile se non nel campo dell’indagine macroeconomica. Non restituisce una panoramica chiara e qualitativamente efficace del mondo del lavoro in un dato paese. Va considerato inoltre che il tasso di disoccupazione è un dato statistico, dunque frutto di uno studio su campione. È quindi un’approssimazione della realtà. Il tasso di disoccupazione, poi, non è per forza collegato a quello di occupazione: nel 2016, per esempio, l’Istat dichiarò che entrambi i parametri erano cresciuti nel precedente trimestre. Il motivo è tecnico: la disoccupazione non considera gli inattivi, ossia coloro che non hanno e non cercano lavoro. Se il numero di occupati sale, ma allo stesso tempo gli inattivi “escono dalla zona grigia” e tornano a cercare lavoro, aumenta il tasso sia di occupazione sia di inoccupazione.
Il tasso di disoccupazione giovanile si calcola in maniera identica, con l’unica differenza che la forza lavoro si limita a individui dai 15 ai 24 anni. La disoccupazione frizionale invece è un discorso a parte: è infatti provvisoria ed è causata dal passaggio da un lavoro all’altro (in genere non supera i due mesi).
Articolo realizzato in collaborazione con il master biennale in giornalismo della IULM, contenuto a cura di Gabriella Mazzeo.