Il muratore Massimo Bossetti parla per la prima volta con il gip Vincenza Marcora il 19 giugno, nel carcere di Bergamo, e come emerge dai verbali pubblicati oggi dal quotidiano "Repubblica" racconta la propria verità: "In cantiere dicevano tutti che Yara era stata uccisa per una vendetta contro il padre, Fulvio Gambirasio. Il dna mi incastra? Ma io giuro sui miei tre figli che Yara non l'ho mai né conosciuta, né vista, né incontrata".
In 67 pagine di verbale il 43enne ricostruisce in maniera dettagliata la giornata del 26 novembre 2010: "Sono tornato a casa dopo il lavoro, ho fatto la doccia, ho cenato con moglie e figli, ho guardato un po' i quaderni dei miei bambini, giocato con loro che vanno sempre a letto alle 21. Poi sono stato sul divano a guardare la televisione". Davanti all'obiezione del giudice che a distanza di quasi quattro anni è difficile ricordare tanti particolari, il manovale si è difeso così: " Sono un uomo metodico, un abitudinario. Faccio sempre le stesse cose: lavoro, doccia, cena, divano".
E poi arriva la domanda su quella che è considerata la prova regina di tutto l'impianto accusatorio, quella sul Dna trovato sugli indumenti di Yara, quesito a cui Bossetti replica così: "E' impossibile che sia stato trovato. Ma se venisse dimostrato senza nessun dubbio che il Dna è mio, bisognerà capire perché è stato trovato lì. Io non lo so".
L'ex Ignoto 1 si proclama totalmente estraneo ai fatti. " Fatemi pure tutte le domande che volete. Non ho niente da nascondere" dice subito e poi continua: "Io mi proclamo ancora innocente. Non ho mai fatto male a nessuno. Ho 43 annni, ho la testa sulle spalle, un bel lavoro, una bella moglie e tre figli che mi aspettano a casa tutti i giorni. Mai avrei potuto fare una cosa così. Glielo posso giurare sui miei figli: non ho fatto niente".
Il gip chiede a Bossetti di spiegare quando venne a conoscenza della scomparsa di Yara: "Penso il 27 novembre. Se è sparita il 26, hanno dato la notizia il giorno dopo, credo...". Sulla sua presenza nella zona della palestra dimostrata dalle celle telefoniche, il muratore approfondisce con queste parole: "In quei giorni lavoravo nel cantiere di mio cognato Osvaldo Mazzoleni in via Prato Marone a Palazzago. Per tornare a casa percorrevo il tragitto abituale e passavo anche davanti al centro sportivo di Brembate". Ma a domanda più specifica è secco: "Non ci ho mai messo piede"."