E' uscito l'8 luglio "Futurology", nuovo album dei Manic Street Preachers, che segue a meno di un anno di distanza il fortunato "Rewind The Film". Un lavoro con forti echi anni 80, pur mantenendo la caratteristica impronta del gruppo gallese. "I nostri riferimenti musicali sono sempre stati molto eclettici - dice a Tgcom24 Sean Moore -. Abbiamo passato un momento difficile ma troviamo sempre la forza di andare avanti".
I Manics hanno vissuto molte vite. Band post punk dall'atteggiamento iconoclasta nella prima fase della loro carriera, dopo la scomparsa nel nulla del chitarrista Richey Edwards, nel 1995, si sono reinventati con un rock dal taglio più commerciale trovando un successo internazionale travolgente a cavallo del cambio di millennio, con brani come "If You Tolerate This You're Children Will Be Next" e "A Design For Life". Poi negli anni duemila qualche passo falso e buona parte del pubblico che volta le spalle, eccezion fatta per una fan base estremamente fedele e agguerrita. E loro sono andati avanti, riadattandosi a una dimensione più raccolta, probabilmente a loro anche più congeniale. "Futurology" è figlio di una fase creativa molto fervida che ha visto nascere praticamente due album in un colpo solo... "Di fatto sono arrivati dopo anni particolari - spiega Moore, batterista del gruppo -, dove ci siamo presi una pausa, pubblicato una raccolta che ha chiuso un'era e fatto parecchi concerti. Dopodiché siamo andati in studio a scrivere e sono emerse molte idee, anche di stile molto diverso tra di loro".
Per quanto nati quasi contemporaneamente "Rewind The Film" e "Futurology" sono infatti decisamente diversi...
Sì, ma d'altro canto noi siamo sempre stati piuttosto eclettici nei nostri gusti musicali e lo stile di "Futurology" non deve stupire, in fondo siamo figli degli anni 80. Quella di dividere i brani che stavano nascendo in due lavori distinti è stata una decisione consapevole e naturale.
Se c'è una cosa che unisce i due lavori è la presenza su entrambi di molti ospiti. Come mai questo allargamento ad altri artisti?
Siamo stati sempre molto concentrati su noi stessi come band, non siamo mai stati il tipo di gruppo che invita altri artisti per fare delle jam o a suonare insieme. Negli ultimi anni abbiamo invece scoperto che l'interazione con altri musicisti può essere molto positiva. Alcune canzoni che abbiamo scritto si adattavano bene all'essere affidate a voci di altri cantanti. Ci è servito a dare un colore diverso alle nostre composizioni.
Nicky Wire ha detto di aver composto "Walk Me To The Bridge" dopo un periodo in cui aveva pensato a lasciare il gruppo. Siete stati vicini allo scioglimento?
In realtà è stata una possibilità concreta più volte nel corso della nostra carriera! Avremmo potuto scioglierci dopo il primo album, "Generation Terrorist", visto che avevamo annunciato che avremmo fatto un album e ci saremmo ritirati. Ma anche dopo "Holy Bible" abbiamo sentito che potevamo essere giunti al capolinea, senza parlare di quando è scomparso Richey...
E' stato un pensiero presente anche nei momenti di grande successo?
Certamente. Ci abbiamo pensato per esempio dopo il Millennium Concert, fatto a Cardiff il 31 dicembre del 1999: avrebbe potuto essere un finale all'apice del successo. Poi c'è stato "Lifeblood" e con quell'album abbiamo perso un po' di noi stessi e buona parte del nostro pubblico. Ma alla fine c'è sempre stato qualcosa che arrivato a ispirarci e a darci la forza per andare avanti. La musica è la nostra vita.
Possiamo dire che proprio l'avere avuto sempre vicina la possibilità della fine ha contribuito a tenervi uniti?
Credo proprio di sì! Alla fine abbiamo sempre dovuto lottare, siamo sempre stati in trincea, non ci siamo mai sentiti al sicuro, nemmeno nei momenti di maggiore successo. Ci era abbastanza incomprensibile perché le cose andassero alla grande in un certo momento e come gli inglesi potessero impazzire per una canzone sulla guerra civile spagnola. E non ci siamo depressi dopo. Ci piace riflettere, guardare indietro e trovare nuova energia per andare avanti.
A giugno avete suonato in Italia dopo anni di assenza dai nostri palchi. I fan italiani hanno dovuto penare non poco per vedervi...
Il problema è semplicemente legato alla possibilità di trovare un promoter che ci permetta di venire. Per fortuna c'è stata questa occasione di suonare al Festival a Bologna, un posto dove non eravamo mai stati. In realtà amiamo molto l'Italia, e speriamo di tornarci presto.