Corsi di formazione, sussidi al lavoro, inclusione sociale: tutto un bluff. Almeno stando alle cifre, raccapriccianti, che arrivano da due economisti, Roberto Perotti e Filippo Teoldi, che descrivono il grande spreco in Italia dei fondi strutturali europei: in 5 anni sono stati messi in campo 504 mila progetti, per una spesa di quasi 7 miliardi e mezzo di euro. Risultato? Per quanto riguarda l'occupazione zero benefici.
Lo studio, ripreso da Repubblica, evidenzia una montagna di miliardi sfuggita di mano. Ogni anno l'Italia spende cifre impressionanti in progetti finanziati con fondi strutturali europei, eppure nessuno è in grado di valutarne gli effetti. Non solo. Ogni euro di fondi ricevuti ce ne costa due in tasse: uno da versare all'Europa come membri dell'Unione e un altro come cofinanziamento, obbligatorio per utilizzare quei fondi.
Numeri alla mano: nel 2012 l'Italia ha versato 16,5 miliardi di contributi all'Ue e ne ha ricevuto in cambio solo 11, di cui 2,9 miliardi in fondi strutturali. Ora, questi fondi per essere spesi devono essere cofinanziati nella stessa misura dall'Italia. E fini qui tutto "normale". Ma ecco la stortura: per i corsi di formazione (che rappresentano la quasi totalità dei progetti), il 4% del finanziamento viene dalle Regioni e praticamente nulla dalla Province. Ed è qui che i fondi magicamente si perdono. O meglio: si traducono in decine di centri di ricerca che producono mole inutile di documentazione, senza nessun beneficio concreto in termini di occupazione.
In una parola: eurofurti. Dal 2003 ad oggi i corsi fasulli hanno raggiunto la spesa di un miliardo e 200 milioni di euro. Solo in Sicilia, nel 2012, di soldi destinati a finti progetti di valutazione ne sono stati scovati 148 milioni, e in Italia ammontano a 344 milioni, Il sottobosco del sottobosco insomma, il solito magna magna all'italiana.
E il confronto con l'Europa è l'ultima mazzata. Se l'Italia tra il 2007 e il 2013 ha offerto corsi per 21mila persone, la Francia aveva 254mila iscritti e la Germania 208mila:di questi solo il 14% risultava occupato in Italia, contro l'85% in Francia e il 34% in Germania. Nulla da aggiungere, parlano i numeri.