Giorgio Faletti non era nato scrittore, ma comico. Con quell'etichetta, spesso affibbiatagli con perplessità se non addirittura con disprezzo, si è dovuto confrontare quando si è reinventato come musicista, osando calcare persino il sacro palco di Sanremo, e poi come romanziere quando ha avuto la "colpa", lui ex cabarettista del "Drive In", di vendere quei milioni di copie di libri che decine di intellettuali doc non sono mai riusciti a vendere nemmeno in gruppo.
Nel 2008 l'Università Cattolica del Sacro Cuore lo invitò a Milano a tenere una lezione per gli studenti del corso di alta formazione in Scrittura creativa. Da navigato uomo di spettacolo, prima che di lettere, Faletti spiazzò tutti facendo saltare la scaletta concordata per il suo intervento. Non si sedette al tavolo da professore, si impossessò del microfono e cominciò lo show: "Non mi guardate come se fossi Hemingway perché non credo di esserlo e solo l'idea di fare il suo stesso mestiere mi mette a disagio. Quindi datemi del tu e non mi considerate il genio che non sono".
Azzerate le distanze e demolito il castello di pregiudizi che molti presenti avevano, con umiltà e un pizzico di ironia spiegò i suoi libri: "Scrivo quella che viene definita letteratura di genere, ma che preferisco chiamare letteratura da spiaggia. Ricordatevi che se i miei libri non vi piacciono, possono essere molto utili d'inverno per accendere il camino di casa".
"La mia storia - ammise - è costellata di cose che non avrei dovuto fare e invece ho fatto, nonostante in molti abbiano tentato di farmi cambiare idea. Quando ho scritto il primo libro, un thriller, molti editori l´hanno rifiutato. Oggi quel libro ha venduto 4.200.000 copie solo in Italia".
Una soddisfazione che ovviamente non nascose, in tempi in cui uno scrittore medio salta di gioia quando raggiunge la soglia delle 5mila copie: "È un po' come la pubblicità di quella nota carta di credito: fare l'autografo a chi ti aveva detto di lasciar perdere non ha prezzo".
Come raggiungere un obiettivo tanto ambizioso? "Ho tenuto duro, sono andato contro molte regole, con autodisciplina, maturità e una componente fondamentale per il successo: il colpo di culo".
Niente vezzi da nuovo Ugo Foscolo insomma, ma tanta modestia e molta curiosità di esplorare le praterie sterminate del romanzo: "Come scrittore non mi pongo limiti. Ho il desiderio di scrivere storie diverse e quando mi verrà un'idea interessante lo farò. Il thriller deve raccontare una storia e creare suspense. Il lettore deve avere voglia di leggere la pagina successiva, per vedere cosa accade. Questo genere ti pone dei paletti, dei punti obbligati che devono essere rispettati".
Aprì con generosità le porte della sua officina creativa agli studenti e aspiranti scrittori presenti in aula raccontando nel dettaglio il suo metodo di lavoro: "Io parto da un'idea piccola e, giorno dopo giorno, la sviluppo fino ad arrivare alla stesura di un capitolo. A quel punto, incomincia l'operazione di taglio delle parti in eccesso, leggendo e rileggendo quanto prodotto". L'errore più comune per chi si cimenta in un libro lungo? "Una trama e uno stile complicato che portano il lettore a perdersi. Ma è l'esperienza che te lo fa comprendere, insieme a dei validi collaboratori come l'editor".
Cosa aveva imparato dalla sua ultima "vita" da romanziere? Su questa domanda esitò un attimo ma poi regalò agli studenti il consiglio forse più bello e inaspettato da parte di uno che aveva bruciato tutte le tappe ed esplorato tante carriere: "Conta molto mettersi lì poco per volta e non cadere nella trappola in cui restano spesso invischiati gli autori alle prime armi, desiderosi di voler scrivere subito la parola fine. La fretta di concludere è qualcosa di insopportabile".
Non ha avuto fretta a vestire i panni del romanziere, ma forse nel lasciarci così all'improvviso e prima ancora che avessimo tutti il coraggio di riconoscerlo per lo scrittore che è stato, a prescindere dalle copie vendute e dagli applausi della critica.