LA DENUNCIA

Meriam: "Costretta a partorire con le gambe incatenate, ora mia figlia è disabile"

Sudan, la donna condannata a morte per apostasia e poi rilasciata denuncia: "Da grande potrebbe non riuscire a camminare"

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"Mia figlia è nata disabile perché mi hanno costretta a partorire con le gambe incatenate". Drammatica denuncia di Meriam Ibrahim, la donna sudanese condannata a morte per apostasia e poi rilasciata. Al momento del parto, gli agenti del carcere dove era rinchiusa si sono rifiutati di liberarla dalle catene: "Da grande potrebbe avere problemi a camminare", dichiara Meriam.

Difficile al momento accertare il grado di disabilità della piccola, nata il 27 maggio in un carcere sudanese. Solo quando sarà più grande i medici potranno diagnosticare con certezza l'entità dei problemi.

Avviata nuova procedura giudiziaria nei suoi confronti - Non c'è pace per Meriam. Il suo avvocato rende nota l'apertura di una nuova procedura giudiziaria nei confronti della donna. A denunciarla sono state alcune persone che affermano di essere suoi parenti.

Secondo il legale, le persone che l'accusano, tutte di fede musulmana, sarebbero le stesse che nel 2013 presentarono un esposto per apostasia.

La vicenda - Meriam, 27enne nata da padre musulmano, 27 anni, è stata condannata a morte il 15 maggio da un tribunale criminale sotto la legge islamica, che vieta le conversioni, per aver sposato un cristiano. Già madre di un bambino di 20 mesi, è stata anche condannata a 100 frustate per "adulterio", perché secondo l'interpretazione sudanese della sharia, qualsiasi unione tra un musulmano e un non musulmano è considerata "adulterio".

Liberata il 23 giugno poco dopo l'annullamento della condanna, è stata nuovamente fermata all'aeroporto, dove si accingeva a volare negli Stati Uniti con il marito, che è anche cittadino americano. E' stata poi di nuovo rilasciata, ma su di lei pende ancora l'accusa di aver presentato un documento "straniero" alla polizia di frontiera sudanese, un fatto considerato "illegale".

Ora Meriam si trova presso l'ambasciata statunitense di Khartoum.