Una parabola durata quattro anni ma che avrebbe cambiato il mondo del pop per sempre. E' quella dei Joy Division, la band guidata dal carismatico Ian Curtis che, tra il 1976 e il 1980, con solo un ep e due album, è stata capace di entrare nel mito. Anche grazie, come spesso accade nelle storie del rock, alla tragica fine del suo leader, impiccatosi il 18 maggio dell'80. La vicenda viene ora raccontata da chi l'ha vissuta in prima persona, il bassista e fondatore del gruppo Peter Hook, nel libro "Joy Division - Tutta la storia", pubblicato da poco da Tsunami.
E' la prima volta che quanto accaduto in quegli anni viene affrontato direttamente da un membro del gruppo. Un gruppo che, a dispetto di una parabola estremamente rapida e di sicuro non baciata sul momento dal grande successo, ha lasciato un'eredita che andata crescendo nel corso del tempo, raccolta ancora oggi da gruppi che partono da quella lezione per muovere i primi passi, si chiamino Interpol o Editors, o prima di loro U2, Rem, Radiohead, la cui musica è piena di semi gettati dai Joy Division.
C'è sempre una storia vera dietro il mito. Con le sue miserie, le sue normalità e le macchie di sporco che intaccano il quadro luccicante passato ai posteri. Figurarsi quando il quadro è di per se oscuro, con l'ultima pennellata costituita dalla tragica fine di un'anima tormentata. Pochi personaggi nel mondo del pop hanno dato vita un culto fedele e ossequioso come Ian Curtis. Splendido poeta e uomo fragile, che proprio grazie a queste due caratteristiche è riuscito a entrare in sintonia con milioni di ragazzi di più generazioni.
Peter Hook mette insieme una ricostruzione minuziosa, completa di fatti giorni per giorno e descrizione delle singole canzoni album per album, ma depurata da qualsiasi accento agiografico, lascia da parte l'enfasi e riporta sulla terra anche il mito di Curtis. Senza rivelare particolari che ne possano intaccare l'immagine ma semplicemente riducendolo a "persona normale", con le sue debolezze e inclinazioni. La storia dei Joy Division è quella di un gruppo che gira su un pulmino scalcinato, per locali dove spesso si trova a suonare per dieci persone o viene coinvolto in risse e deve fare i conti con la cronica mancanza di soldi. Un gruppo che rimane folgorato dai Sex Pistols e vorrebbe suonare punk ma che poi cambia la storia di quel genere aprendo un universo nuovo, oscuro ed ipnotico, dove persino Frank Sinatra trova spazio.
C'è ovviamente il capitolo doloroso del suicidio di Curtis. Un epilogo per il quale diversi segnali compaiono durante il percorso, e Hook è a suo modo impietoso nel non cercare scuse, per se stesso in primis ma per tutto l'entourage della band. Sottolinea più volte come, nonostante le condizioni del cantante, schiacciato da un'epilessia che andava peggiorando con l'aumentare degli impegni, fossero evidentemente sempre più precarie, nessuno volle fermare il treno. Perché il treno Joy Division era in piena corsa, stava raccogliendo i primi frutti delle fatiche e dei sacrifici, e nessuno voleva guardare il muro verso il quale stava andando a schiantarsi. A partire da Ian stesso, che, stando a quanto dice Hook, non chiese mai di rinunciare a qualche impegno e anzi rassicurava tutti ogni volta che poteva. E tutti erano ben felici di essere rassicurati.
Nel libro entrano spesso riferimenti ai New Order, che raccolsero l'eredità dei Joy Division, e ai rapporti sempre più tesi (fino alla rottura definitiva negli ultimi anni), con l'altro fondatore, il chitarrista e poi cantante, Bernard Sumner. Nonostante questo Hook riesce a non deragliare troppo dal racconto e, per quanto possibile, a non farsi trascinare da rancori personali. Per quelli ci sarà tempo, come dice lui in chiusura, "per il capitolo di un altro libro".
Peter Hook
Joy Division - Tutta la storia
304 pp.gg
Tsunami edizioni