Il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, ha deciso di dimettersi. Dopo le ripetute sollecitazioni arrivate dal Partito democratico a lasciare il suo incarico per ragioni di "opportunità", il primo cittadino finito nel mirino della magistratura per lo scandalo Mose ha scelto di farsi da parte. Anche in Comune 24 suoi consiglieri gli avevano chiesto un passo indietro, comunicandogli di essere pronti a dimettersi.
"Ragioni opportunistiche e ipocrite" - Nell'atto con cui ha rassegnato le dimissioni, Orsoni scrive che nei suoi confronti "ci sono state reazioni opportunistiche e ipocrite, anche da parte di elementi della giunta". Le critiche di Orsoni sono indirizzate "alle forze politiche che sostengono le giunte, senza far riferimento ai componenti dell'esecutivo comunale, di cui il sindaco dimissionario ha lodato l'impegno e la disponibilità".
Salta la giunta - E nella conferenza stampa convocata per annunciare la decisione, prima di dimettersi Orsoni dispone la revoca delle deleghe a tutta la giunta comunale della città, spiegando: "Non è un atto contro i singoli amministratori, ma vuole significare che è venuto meno il rapporto tra la mia persona e la politica che mi ha sostenuto finora".
"Estraneità alla politica" - Le vicende dell'inchiesta Mose, aggiunge, "hanno fatto emergere la mia estraneità al mondo della politica a cui mi ero prestato con spirito di servizio. Dopo un chiarimento e dopo la disponibilità a rinnovare la mia carica, mi sono messo a disposizione nuovamente". Ma conclude: "Non sussistono le condizioni minime" per il mantenimento dell'incarico.
In carica per altri venti giorni - Il sindaco resterà ora in carica per altri venti giorni, durante i quali provvederà al solo disbrigo delle questioni urgenti e obbligatorie. E in questo periodo renderà conto direttamente al Consiglio comunale, anch'esso in carica per altre venti giorni. Trascorso il termine, nella città lagunare subentrerà un commissario prefettizio.
Orsoni era tornato in libertà giovedì mattina dopo una settimana passata ai domiciliari con l'accusa di finanziamento illecito nell'inchiesta sul Mose.