Imprenditori, politici e anche magistrati sono i protagonisti del grande affare Mose. Dall'inchiesta emerge l'architettura di una società a delinquere in cui il costruttore (Giovanni Mazzacurati) paga i politici (Giorgio Orsoni e Giancarlo Galan in primis) per poi andare a chiedere in cambio soldi e favori. E per fare le nomine che gli interessano: nel caso specifico, per mettere persone gradite al Magistrato delle Acque.
Una grande catena di business si intreccia nelle acque torpide della laguna ed emerge dalle dichiarazioni dei diretti (più o meno) protagonisti. "In tre mesi ho portato i soldi a casa sua", dice Mazzacurati, come scrive "Repubblica". Dove per sua si intende quella del sindaco Giorgio Orsoni. Era Mazzacurati, ex capo del Consorzio Venezia Nuova, cioè il concessionario del ministero delle Infrastrutture per il Mose, il "doge" che sarebbe stato dietro l'intera operazione.
Cantone: "Caso più grave di Expo, serve una svolta" - "Quello che sta emergendo in questa vicenda, che ovviamente deve essere vagliata dalla magistratura, è un sistema molto inquietante, ancora più di quello già grave venuto alla luce per Expo", commenta Raffaele Cantone, presidente dell'Autorità nazionale anticorruzione, ai microfoni di "Prima di tutto", su Radio 1. E ammonisce: "E' innegabile che il sistema degli appalti deve essere ripensato". Cambiare le regole però non basta, aggiunge. Occorre "discontinuità politica e culturale".
Orlando: "Intristito, ma non stupito" - Ecco come ha commentato la vicenda il ministro della Giustizia Andrea Orlando: "Sono intristito ma non stupito. Basta con le procedure eccezionali e con i percorsi emergenziali, perché dove non c'è concorrenza è più facile che si crei opacità". Orlando ha poi aggiunto: "Abbiamo le leggi, facciamole funzionare: solo poche settimane fa è stato nominato il presidente dell'agenzia anticorruzione, quello è lo strumento". E ancora: "Il mancato stupore non è riferito ai singoli provvedimenti della magistratura e agli arresti, ma a una situazione di mancanza di concorrenza che determina opacità".
Mose, ecco come funzionava il meccanismo - Era Mazzacurati a portare i soldi al consigliere regionale Pd Giampiero Marchese, che si accontentava, come scrive il gip Alberto Sacaramuzza, di piccole tranche "da 15mila euro a volta. Marchese era il collettore di soldi del Consorzio Venezia Nuova per la sinistra. Galan e Chisso (assessore regionale Fi) lo erano per la destra". E poi c'era Luciano Neri, il "cassiere di Mazzacurati" del Cvn: da cui "fondi neri", come sottolineano i magistrati, che parlando di un codice sofisticato dei gestori delle mazzette, tra "dazioni obbligate", "rendite di posizione", e appunto, "fondi neri" che diventano "fondo Neri". Spiega il gip: "Il meccanismo arrivava al punto di integrare in un'unica società corrotti e corruttori". Un marchingegno studiato nei minimi dettagli, tanto che, dice ancora il giudice, "non sempre è stato possibile individuare il singolo atto specifico contrario ai doveri d'ufficio".
Il sindaco riceveva Mazzacurati nella sua casa vicino al pornte di Rialto. E lui, il "grande manovratore", gli dice chiaro e tondo che "tutti i nostri amici gonfiano". Con fatturazioni offshore, "esterovestizione", come dice la polizia tributaria. Tanto che Pio Savioli, responsabile del Consorzio per i rapporti con le cooperative, precisa: "Il magistrato alle Acque era in subordine al Consorzio Venezia Nuova... cioè Venezia Nuova gli comprava... sudditanza psicologica e anche operativa... Cioè gli comprava anche la carta igienica, è vero, non è una battuta".
Nomine di persone gradite - Ed ecco il collegamento tra l'imprenditore e le cariche. "Le nomine del Magistrato delle Acque da sempre le ha fatte Mazzacurati - dice Claudia Minutillo, ex segretaria di Galan e imprenditrice del cemento -. Cioè faceva in modo che venisse nominata una persona a lui gradita, gradita al Consorzio".
L'architettura si completava con un generale della Guardia di finanza, Emilio Speziante, che, scrive il gip, si incontra con Mazzacurati nella casa romana dell'imprenditore: quest'ultimo gli chiede un occhio di favore "sulle verifiche fiscali e sui procedimenti penali aperti nei confronti del Cvn". In cambio c'è la promessa di due milioni e mezzo di euro.
Il sistema garantiva congrue entrate anche dopo la pensione. Ancora il gip scrive che "la mazzetta viene pagata anche quando il pubblico ufficiale corrotto ha cessato l'incarico o quando il politico ha cessato il suo ruolo a livello locale", in una sorta di "rendita di posizione". Era così che aumentava le sue entrate Vittorio Giuseppone, ex magistrato della Corte dei Conti. Ed era così che Orsoni, Chisso e Lia Sartori (eurodeputata uscente) si facevano le loro campagne elettorali.
Tutto studiato ad hoc "per ottenere le modifiche normative d'interesse", secondo il gip. Che parla anche di ricerche di contatti con i big politici. Come l'allora ministro Tremonti, con cui Mazzacurati cerca di venire in contatto tramite il consigliere Marco Milanese, a cui furono versati 500mila euro. O come Gianni Letta, che riceve l'imprenditore nel settembre 2011. Per arrivare a oggi, quando l'immenso business delle tangenti dell'acqua alta viene finalmente a galla.
Le 500mila euro nascoste dietro l'armadio - Storie perfino buffe vengono a galla dalle carte dell'inchiesta sul Mose. Come quella mazzetta di 500mila euro destinata all'ex ministro Tremonti, tramite Marco Milanese, buttata dietro un armadio per evitare venisse trovata dalla Guardia di Finanza. L'episodio lo racconta in un interrogatorio Claudia Minutillo, ex segretaria personale di Giancarlo Galan, una delle figure chiave dell'inchiesta, già arrestata nel primo filone dell'indagine, quello sulla "Mantovani", e indagata anche in quello sul Mose.
"Quella volta che la Guardia di Finanza arrivò in Consorzio Venezia Nuova a fare l'ispezione - riferisce Minutillo al pm - e Neri (uomo di fiducia di Mazzacurati, anch'egli indagato, ndr) aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare, dissero, perché io non c'ero... Mi raccontarono 'pensa che c'era Neri che aveva nel cassetto 500mila euro da consegnare a Marco Milanese per Tremonti, e li buttò dietro l'armadio'". "La Guardia di Finanza - prosegue Minutillo nell'interrogatorio - sigillò l'armadio e la sera andarono a recuperarli".