"Ci dicevano di tornare in cabina, ma era una trappola". E' quanto hanno testimoniato per la prima volta, al processo di Grosseto sulla Costa Concordia, i naufraghi della nave affondata il 13 gennaio 2012 davanti all'Isola del Giglio. "Corremmo verso l'esterno per scappare - aggiungono -. Ci dicevano che era solo un guasto tecnico e nessuno ci spiegava cosa fare. Vedevamo solo camerieri in divisa".
Panico, paura, rabbia e timore di perdere la vita. Chi ha vissuto il naufragio della Concordia non potrà mai scordare quei lunghissimi minuti. La sofferenza, ancora oggi, si fa sentire sotto forma di attacchi di panico e insonnia.
"D'improvviso il panico" - La prima teste sentita dal tribunale è Claudia Poliani, parrucchiera di Roma: "Dopo l'impatto con lo scoglio cambiò tutto, dall'allegria e dalla meraviglia di essere in crociera, noi passeggeri entrammo di colpo nel panico, cademmo, era buio, nessuno ci assisteva. Non abbiamo visto ufficiali, c'erano solo camerieri in divisa: prendemmo i giubbotti salvagente da soli e provammo ad indossarli".
"Per lo stress non sono più in grado di guidare tranquillamente la macchina perciò, siccome vivevo fuori Roma, ho dovuto cambiare casa e avvicinarmi alla città", dichiara la teste.
"Ci dicevano di tornare in cabina" - "Il personale ci diceva di tornare in cabina ma capimmo che era una trappola e scappammo verso i ponti all'esterno. Eravamo come in autogestione". Questo il racconto di Ivana Codoni ai giudici. Come altri passeggeri, anche la Codoni non è mai riuscita a superare lo shock: "Soffro di attacchi di panico. Non mi era mai successo prima del naufragio. Sono sempre sotto controllo medico".
"Raccontavano di un guasto elettrico" - "Un grande spavento. I camerieri non sapevano cosa dire, cosa stava succedendo, ogni mezz'ora si sentiva dire 'è un guasto elettrico, state calmi'". Liliana Dobrian, una romena che vive a Grosseto, soffre ancora per quanto accaduto: "Dopo il naufragio non dormivamo più, io e mio marito avevamo dolore alla testa, ci ha visitato uno psichiatra. Da allora abbiamo paura e ansia".
"Pugni agli arredi, mani insanguinate" - "C'era chi dava in escandescenze. Al ristorante tiravano pugni contro gli arredi, le mani sanguinavano. Uno chiedeva: 'Come faccio a salvarmi? Come faccio a salvare i miei figli?' E i camerieri rispondevano: 'Non lo sappiamo nemmeno noi'. E' la testimonianza resa da Luigi D'Eliso.
Il suo racconto è confermato dalla moglie, Rosanna Abbinante: "La gente batteva i pugni sui tavoli. Il padre di un bambino urlava. Ci dicevano che c'era stato un guasto tecnico, ma capivamo che non era così. Infatti volevo andare in cabina a recuperare i vestiti ma non lo feci, la nave si inclinò e rinunciai perché pensai di fare la morte del topo".