Prima di proseguire è bene sgombrare il campo da un possibile equivoco, poiché l’opposizione agisce anche nel comico, non solo nell’umorismo.
Ora la riflessione, sì, può scoprire tanto al comico e al satirico quanto all’umorista questa costruzione illusoria. Ma il comico ne riderà solamente, contentandosi di sgonfiar questa metafora di noi stessi messa su dall’illusione spontanea; il satirico se ne sdegnerà; l’umorista, no: attraverso il ridicolo di questa scoperta vedrà il lato serio e doloroso; smonterà questa costruzione, ma non per riderne solamente; e in luogo di sdegnarsene, magari, ridendo, compatirà.
Sì, comico e umoristico non sono la stessa cosa; il comico è solo l’avvertimento del contrario: ha origine, cioè, da un rilevare in modo superficiale, epidermico, che un fatto, una situazione o una persona si sono allontanati dalla “normalità” (anche se dovremmo metterci d’accordo su cosa significhi la parola normalità). Nel momento in cui si avverte l’esistenza di questo contrario, il riso nasce istantaneo, spontaneo, “in modo quasi automatico”. Molti si fermano qui, paghi del divertimento goduto, senza che in loro si manifesti l’esigenza di leggere nel fatto che si è svolto davanti ai loro occhi qualcosa di diverso e di più del suo aspetto comico. Ma per molti altri la cosa non finisce affatto così. Sono coloro nei quali, in modo quasi automatico, la coscienza interviene a “creare problemi”. Sorgono domande, si producono considerazioni su aspetti che ai più sfuggono; in una parola: si sviluppa una riflessione. E’ proprio la riflessione a immergersi più a fondo, a scavare nel profondo; è lei che “scompone la situazione comica e, scorgendone le nascoste radici tragiche, fa nascere un riso pieno di dolore e amarezza", intriso di pietà.
Tutto diventa chiaro se ci rifacciamo all’esempio che lo stesso Pirandello ci presenta: quello della vecchia signora pesantemente truccata e abbigliata in modo bizzarro per apparire più giovane. Al suo apparire posso sì, anche ridere, perché avverto “che quella vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere”. Se ci fermiamo a questo avvertimento del contrario siamo nel comico. Ma, prosegue Pirandello:
… se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima, perché appunto la riflessione, lavorando in me, mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento, o piuttosto, più addentro: da quel primo avvertimento del contrario mi ha fatto passare a questo sentimento del contrario.
Insomma: Pirandello è uno che, dopo aver considerato un oggetto in modo analitico, avvicinandosi a tal punto da osservarlo spesso deformato, improvvisamente se ne distacca in modo che la nuova prospettiva gli permetta una meditazione assorta e gli offra la possibilità di coglierne – nel confronto con quanto “sta dietro” - gli aspetti umoristici o, addirittura, grotteschi.
Lui stesso ci fornisce un esempio di questo modo di considerare il suo lavoro di scrittore, e lo fa nella prefazione ai Sei personaggi in cerca d’autore. Dopo averci confessato come i personaggi gli si siano improvvisamente materializzati davanti alla scrivania nella disperata ricerca di un autore, e di come – dopo averli ascoltati e analizzati – lui li abbia rifiutati, li abbia spinti “dove sono soliti d’andare i personaggi drammatici per aver vita: su un palcoscenico", al termine della stessa prefazione ci dice che “il poeta, a loro insaputa, quasi guardando da lontano… quel loro tentativo, ha atteso, intanto, a creare con esso e di esso la sua opera".
Assistito da una logica spesso feroce, Pirandello analizza a mo’ di microscopio la realtà che lo circonda, ma nel momento della creazione artistica solleva lo sguardo per osservare esseri e cose come situati su una lontana linea di orizzonte (come non ricordare qui il dottor Fileno, protagonista della novella La tragedia di un personaggio, e la sua “filosofia del lontano”?) nella quale ha la possibilità di coglierli in tutti i loro molteplici aspetti e su di essi riflettere. Questo il suo modo di vedere la realtà. Ora veniamo ai contenuti. Innanzi tutto: che tipo di scrittore è Pirandello?
Bisogna sapere che a me non è mai bastato rappresentare una figura d’uomo o di donna… per il solo gusto di rappresentarla… Ci sono certi scrittori che hanno questo gusto e, paghi, non cercano altro… Ma ve ne sono altri che, oltre a questo gusto, sentono un più profondo bisogno spirituale, per cui non ammettono figure, vicende, paesaggi che non s’imbevano, per così dire, d’un particolar senso della vita, e non acquistino con esso un valore universale. Sono scrittori di natura più propriamente filosofica. Io ho la disgrazia di appartenere a questi ultimi.
Ma non sono così, di natura filosofica, un po’ tutti i grandi autori? Non sono “di natura più propriamente filosofica” Goethe e Schiller? Non è della stessa natura Dostoevskij, oppure Tolstoj? E, per venire a giorni più vicini a noi, Sartre o Camus? Sì, perché negli ultimi due secoli si è assistito ad un progressivo connubio tra filosofia e letteratura, tra filosofia e arte. L’esistenzialismo ne è una prova lampante: “fin dalle sue origini, e cioè in Kierkegaard e in Nietzsche, si è presentato come una filosofia che aveva intimi rapporti con l’arte". Pirandello, poi, aveva – diciamo così – “in casa”, cioè in Italia, un esempio di poeta e letterato filosofo: Giacomo Leopardi. Nel 1819, al termine di un lungo travaglio interiore, colpito da una cecità temporanea che gli impediva di leggere, Leopardi accentuò la sua naturale disposizione al ripiegamento riflessivo e si scoprì “filosofo”. Così annota nello Zibaldone:
… privato dell’uso della vista, e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai tenebroso, cominciai ad abbandonare la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose, … a divenir filosofo (di poeta ch’io era), a sentire l’infelicità certa del mondo, in luogo di conoscerla.
La critica italiana, mai troppo generosa con Pirandello, proprio questo gli attribuiva come difetto: l’aver fatto confusione tra arte e filosofia. Non compresero, tali critici, che tutto era servito a preparare “Pirandello”, anche ciò che poteva apparire come “deviazione”, come perdita di tempo. “Tutto ciò che egli scrisse al di fuori della sua attività di narratore e di commediografo fu sempre intimamente legato ad un 'modo di narrare, d’esprimersi e di far teatro’”.
Un esempio di tale incomprensione lo troviamo in Benedetto Croce, forse il più importante filosofo italiano del '900. Bisogna ricordare che Pirandello e Croce non si sono mai amati, e proprio a partire dalla pubblicazione del saggio L'umorismo, così fondamentale per la comprensione del drammaturgo siciliano, che Croce criticò severamente. Su Pirandello autore di teatro dice: "Se io dovessi definire in poche parole in che cosa propriamente questa sua maniera consiste, direi: in taluni spunti artistici, soffocati o sfigurati da un convulso inconcludente filosofare. Né arte schietta, dunque, né filosofia".