Erwin Johannes Rommel, la "volpe del deserto", e Dwight David Eisenhower, "Ike": sono loro i due protagonisti indiscussi della più grande operazione militare mai compiuta nella storia: lo sbarco in Normandia. Il primo, un vero genio militare, maestro dell'improvvisazione ma con scarsi mezzi a disposizione, venne battuto dal secondo, attento pianificatore ma non altrettanto brillante, dotato però di una schiacciante superiorità di uomini e mezzi. Ma c'è anche un terzo grande personaggio che ha fatto la storia del D-day: Bernard Montgomery, il maresciallo britannico comandante delle truppe di terra. Anche lui un nemico di vecchia data di Rommel, che lo aveva già incontrato in Africa e ne era uscito sconfitto ad El-Alamein.
Erwin Rommel - Nato il 15 novembre 1891, è figlio di un maestro e nipote di un maestro, ma la sua passione è l'aviazione. Il padre, però, si oppone al desiderio del giovane Erwin di intraprendere la carriera di ingegnere aeronautico, e lui nel 1910, diciannovenne, si arruola nell'esercito, facendosi un nome durante la Grande guerra sui fronti francese e italiano.
Allo scoppio della Seconda guerra mondiale è già generale, al comando della 7ª Panzerdivision sul fronte occidentale, e il suo fulmineo attacco alla linea Maginot a St.-Valéry-en-Caux gli fa ottenere la promozione a generale di corpo d'armata e la decorazione di Cavaliere della Croce di Ferro. Nel 1940 Hitler lo mette a capo dell'Afrikakorps, che sbarca in Libia nel 1941: subito Rommel si guadagna da parte degli inglesi il soprannome di "volpe del deserto" per le sue tattiche di guerra che ingannano gli avversari: simula attacchi con carri armati di legno e intanto aggira le posizioni nemiche e le conquista; applica ai camion in marcia nel deserto teloni che, strisciando a terra, sollevano una nuvola di polvere per far credere agli inglesi che un'intera divisione corazzata sia in marcia; inganna la ricognizione aerea muovendosi su mezzi catturati al nemico; finge scontri frontali e poi si ritira per attaccare sull'ala…
Nel '42 Rommel, nella sua corsa verso l'Egitto, espugna il campo trincerato di Marsa Matruh e Hitler lo nomina feldmaresciallo. Ma pochi mesi dopo, battuto a El-Alamein da Montgomery e con lo sbarco alleato di Eisenhower in Nord Africa (rincontrerà entrambi durante l'ultima battaglia, quella in Normandia), per la "volpe del deserto" finisce l'avventura africana: Rommel torna in Germania con una licenza di malattia, e quindi viene inviato in Italia prima e in Normandia poi. Qui, vittima delle antipatie che si è procurato tra i generali dell'Alto comando tedesco, organizza come può le difese costiere, convinto com'è che gli angloamericani tenteranno uno sbarco proprio sulle spiagge normanne e non a Calais. Ma i mezzi che chiede per contrastare l'invasione non gli vengono forniti: ha a disposizione soprattutto truppe poco addestrate, il comando non gli invia l'artiglieria richiesta, le divisioni panzer dislocate nell'entroterra sono sotto il diretto comando di Hitler e interverranno troppo tardi nel tentativo di ributtare in mare gli americani. Sua l'espressione "Il giorno più lungo", che verrà poi universalmente utilizzata (grazie anche a un film degli anni Sessanta) per indicare il D-day: sapendo che i tedeschi, in quelle condizioni, non avevano possibilità di vincere, disse al suo Stato maggiore che, almeno, dovevano fare di tutto perché "il giorno dello sbarco sia, per gli Alleati, il loro giorno più lungo".
Un mese dopo il D-day, il 17 luglio, la sua auto viene mitragliata da otto caccia inglesi: un proiettile raggiunge Rommel alla tempia sinistra e allo zigomo, i frammenti del parabrezza gli feriscono gravemente il viso. I medici lo danno per spacciato, ma lui, incredibilmente, si rimette. Nel frattempo, però, Hitler ha rischiato di morire nell'attentato ordito da alcuni alti ufficiali, e Rommel resta coinvolto, anche se non direttamente. Il 14 ottobre la "volpe del deserto" raggiunge la moglie: "Sono venuto a dirti addio: tra un quarto d'ora sarò morto. Sospettano che io abbia preso parte alla congiura contro Hitler. Sembra che il mio nome fosse su una lista come futuro presidente del Reich. Il Fuhrer mi lascia la scelta tra il veleno e un processo davanti al tribunale del popolo. Hanno portato il veleno. Agirà in tre secondi". Rommel morirà poche ore dopo.
Dwight Eisenhower - Nato nel Texas nel 1890, alle superiori la sua eccellenza negli sport gli aprì le porte di West Point, la prestigiosa accademia militare americana. La sua carriera non è certo brillante come quella di Rommel, e la sua ascesa avvenne passando da un ufficio all'altro, chiamato a incarichi sempre più alti grazie alla sua precisione e alla sua meticolosità nella gestione dei compiti che gli venivano affidati.
E infatti, dopo Pearl Harbor, il generale George Marshall lo chiamò a Washington per attendere alla stesura dei piani di guerra. Nel 1942 il suo primo incontro con Rommel, durante lo sbarco delle truppe alleate in Africa del Nord. E nel 1943 venne scelto proprio lui per comandare l'invasione della Francia in quella gigantesca operazione che fu l'Overlord, ancora una volta contro Rommel. E se il suo avversario era geniale e irascibile, ribelle agli ordini superiori e fermo nelle proprie convinzioni, Eisenhower era l'esatto opposto: un uomo che non prendeva mai una decisione senza prima ponderarla, che non faceva mai nulla senza prima aver consultato i suoi collaboratori. Un perfetto organizzatore, come lo era stato sin dall'inizio della carriera. Ma a fargli vincere la guerra in Europa fu soprattutto la sua superiorità in fatto di uomini e mezzi, il fatto di avere alle spalle un'imbattibile potenza economica quale erano gli Stati Uniti.
Nominato presidente della Columbia University alla fine della guerra, si congedò ma venne richiamato in servizio per assumere nel 1951 il comando supremo delle nuove forze NATO, e nel 1952 si candidò alle presidenziali con i repubblicani, vincendo le elezioni con un ampio margine, e riconquistando la Casa Bianca 4 anni dopo. Scaduto il suo mandato, si ritirò nella sua fattoria a Gettysburg, morendo dopo una lunga malattia nel 1969.
Bernard Montgomery - Figlio di un pastore anglicano di origine irlandese che aveva retto per una dozzina d'anni una diocesi in Australia, Bernard Law Montgomery nasce in un sobborgo di Londra il 17 novembre 1887. Avviato alla carriera delle armi, frequenta l'accademia militare di Sandhurst, distinguendosi più che altro per gli scherzi atroci ai compagni. Combatte in Francia durante la Prima Guerra mondiale, guadagnandosi una caterva di decorazioni: il Distinguished Service Order, due croci di guerra francesi, sei citazioni all'ordine del giorno per atti di valore.
Allo scoppio della Seconda Guerra mondiale, assunto il comando prima dell'8ª e poi della 4ª Divisione britannica, Montgomery è ancora sul fronte francese e rimane intrappolato col resto del corpo di spedizione nella sacca di Dunkerque. Rientrato fortunosamente in Inghilterra, gli viene assegnato un lavoro d'ufficio, quello del comando territoria1e dell'Inghilterra Sud-orientale. Ma due anni dopo ha la sua nuova occasione alla testa dell'8ª armata, che sconfigge Rommel ad El-Alamein. Ambizioso ed esibizionista, quando nel '44 viene chiamato a capo delle truppe di terra dell'operazione Overlord rischia più volte di far fallire i piani alleati, dando in pasto alla stampa particolari che potrebbero compromettere la guerra. Ma al vincitore della campagna d'Africa viene perdonato tutto, anche il fatto di aver sconfitto la "volpe del deserto" grazie a un piano steso dal suo predecessore, anche il fatto di aver aspettato mesi prima di contrattaccare.
Non si può però negare che la carriera di Montgomery sia una serie ininterrotta di vittorie: dopo l'Africa e la Normandia, è sempre Monty a liberare Bruxelles, a varcare il Reno, a occupare Hannover e Lubecca, a ricevere la resa delle forze tedesche nel settore Nord-occidentale.
Finita la guerra, Montgomery diventa capo di stato maggiore imperiale, quindi comandante militare del consiglio di difesa dell'Unione europea occidentale e, nel 1951, vicecomandante della NATO. In pensione dal 1955, muore a 88 nel 1976. Il suo nome, oltre che alle imprese militari che ha condotto, è legato anche a un'altra cosa: il capotto che porta il suo nome, e che in battaglia si distingueva dagli altri perché munito di un cappuccio e per il modo in cui lo abbottonava, con un sistema di asole e cilindri di legno.