La mancanza di posti di lavora peggiora di mese in mese, ma quali sono le vere cause? Se lo chiede Giampiero Falasca, avvocato, esperto di diritto del lavoro e responsabile del Dipartimento lavoro dello studio legale internazionale DLA Piper. La sua riflessione è diventata un libro, "Divieto di assumere. Cambiare le regole per rilanciare il lavoro" (Edizioni Lavoro, 88 pagine, 16 euro).
Da quando è iniziata la grande crisi che sta avvolgendo l'economia internazionale, il sistema produttivo italiano ha subito (e sta ancora subendo) una crescita esponenziale dei licenziamenti. L'industria ha avviato un processo di vera e propria fuga dal territorio nazionale, la piccola impresa si barcamena tra rate scadute e difficoltà di reggere la concorrenza, i servizi seguono il trend negativo generale; si contano sulle dita di una mano i settori che crescono o, quanto meno, restano stabili, sul piano occupazionale ed economico.
L'analisi delle ragioni che stanno dietro questa situazione sembra, in prima lettura, facile: colpa della crisi. Ma questa lettura rischia di essere troppo consolatoria, se viene applicata per spiegare quello che sta accadendo in Italia. In molti casi, le imprese scelgono di dismettere i propri investimenti nel nostro paese perché sono stanche di fare i conti ogni giorno con il messaggio – divieto di assumere – che manda loro un ordinamento burocratico, formalista e illogico come quello italiano.
Il libro di Falasca, senza alcuna pretesa di completezza scientifica, vuole denunciare con forza questa situazione, nella speranza che la politica comprenda la necessità di intervenire presto e con decisione, ridando smalto e attrattività al nostro mercato del lavoro. Il Jobs Act presentato da Matteo Renzi potrebbe dare una risposta valida a molti di questi problemi, a patto che sia trasformato rapidamente in misure concrete. Non sarà facile, e ci vorrà un grande investimento progettuale, ma è urgente intervenire presto. Più tardi si completerà la riforma del sistema, più difficile sarà recuperare il terreno che ogni giorno stiamo perdendo.
L'autore spiega a Tgcom24 che "non serve una pletora sterminata di contratti, tutti a rischio di contenzioso, basterebbero poche tipologie di lavoro (un contratto unico per i lavori saltuari, invece che 6-7 forme, l'apprendistato ancora più semplificato, la somministrazione liberata da lacci e lacciuoli inutilmente punitivi, il lavoro a termine libero da formalismi assurdi come la causale); questi contratti dovrebbero essere ripensati sulla base di regole capaci di consentire un loro utilizzo semplice ed immediato. Queste misure potrebbero far scomparire immediatamente il contenzioso (oggi imponente) sul lavoro flessibile, e potrebbero ridurre gli ingenti costi transattivi e indiretti (consulenze, procedure interne, rallentamenti operativi, rischi di causa) che oggi ogni azienda deve sostenere per poter utilizzare il lavoro flessibile. La semplificazione non dovrebbe interessare le forme precarizzanti che oggi proliferano senza controllo; il lavoro a progetto non dovrebbe essere semplificato ma sarebbe da cancellare senza incertezze, trattandosi di un mostro giuridico unico in Europa".