L'opinione

Quello scambio di provette e l'amore genitoriale che non è questione di Dna

L'errore compiuto all'ospedale Pertini di Roma e la scelta della madre di non abortire obbligano a una riflessione sul rapporto tra geni e affetto

© ansa

Sembra un film di Almodovar la storia della donna incinta di due gemelli non suoi. Il cosiddetto "incidente", durante una fecondazione assistita, potrebbe essere stato causato dalla somiglianza dei cognomi di due coppie o forse, invece, più banalmente dallo scambio di due provette.

Fatto sta che durante una villocentesi, l'esame che controlla eventuali anomalie genetiche dei feti, si è scoperto che i bambini che una donna portava in grembo non erano suoi e neanche di suo marito. Difficile immaginare lo choc di quella povera coppia, e di lei in particolare, che decide di sottoporsi al lungo e faticoso processo che è una Pma, una procreazione medicalmente assistita, e quando, dopo mesi di visite, cure, tentativi, speranze e delusioni finalmente ce la fa e resta incinta, scopre che i bambini che sta già nutrendo dentro di sé sono di un'altra…

Un addetto dell'ospedale in cui è avvenuto l'"incidente" ha commentato che gli pare assurdo perché i protocolli delle fecondazioni sono rigidissimi. Non sarebbe stato più corretto un bel silenzio o, meglio ancora, delle umili scuse? Un altro si è limitato a dire che l'errore umano è sempre possibile.

Certo, ma chi ne risponderà adesso? Per fortuna non quei due esserini che, ignari di tutto lo scompiglio che stanno creando, aspettano tranquilli di venire al mondo. E ci verranno, ribadisco "per fortuna", perché - onore al merito - la loro mamma, non genetica, ma di fatto, ha dichiarato che non abortirà, come gli consentirebbe la legge, e porterà a termine la gravidanza.

E io, se permettete, vorrei fare questa previsione, non buonista, solo realista: superato lo choc iniziale, quella donna e suo marito ameranno quei due bambini come fossero loro. Perché sono e saranno ogni giorno di più loro. Ma soprattutto perché l'amore non si nutre solo di Dna, come sanno bene tutti i genitori adottivi o le "matrigne" e i "patrigni" di, amatissimi, figli altrui.