Luigi Pirandello muore il 10 dicembre del 1936. In quello stesso anno altri grandi della letteratura erano scomparsi: in agosto era toccato a Federico Garcia Lorca, fucilato a pochi giorni dall'inizio della guerra civile spagnola dai falangisti di Franco; a Mosca, quando sono iniziate le “purghe” volute da Stalin, muore in circostanze misteriose Maxim Gorkij. Sei mesi prima, il 29 giugno, era morto a Roma Ettore Petrolini. Il 1936 è anche l'anno dell'avventura italiana d'Etiopia e del tragico trattato che darà vita all'Asse Roma-Berlino. Per parlare di avvenimenti meno drammatici, nel 1936 si sono tenute le ultime olimpiadi prima dello scoppio della seconda guerra mondiale; sono le Olimpiadi di Berlino, le olimpiadi delle tre medaglie d'oro di Jessie Owens e del rifiuto di Hitler di premiarlo.
Ma proprio il 10 dicembre, mentre Pirandello muore, in Inghilterra si consuma un atto carico di teatralità: Edoardo VIII, al secolo duca di Windsor, abdica al trono inglese per poter vivere accanto alla donna che ama. Qui Pirandello avrebbe sorriso, grazie alla sua capacità di cogliere i contrasti nei diversi aspetti degli avvenimenti che la vita gli poneva davanti. Nel saggio L'umorismo, del 1908, quando indaga come, in un autore, possa nascere quella disposizione di spirito che va sotto il nome di umorismo, Pirandello scrive: … indubbiamente, una innata o ereditata malinconia, le tristi vicende, un'amara esperienza della vita, o anche un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio e con le considerazioni su le sorti dell'umana esistenza, sul destino degli uomini. … possono determinare quella particolar disposizione d'animo che si suol chiamare umoristica…
Sembra qui di ascoltare una specie di autoritratto della propria indole e della propria formazione culturale e spirituale, nonché il ricordo di esperienze che lo hanno segnato in modo significativo. Difatti, oltre alla “innata o ereditata malinconia”, Pirandello accenna a “tristi vicende” e ad una “amara esperienza della vita”. Nel 1908 di vicende tristi e di amarezze ne aveva già sperimentate non poche: il difficile rapporto col padre dal quale si sentiva profondamente diverso ed estraneo; la disillusione religiosa, così intensamente rievocata nella novella La Madonnina; il triste episodio dello sputo di Luigi, quattordicenne, in faccia all'amante del padre; il principio della malattia nervosa della sorella Lina; l'allagamento della solfatara nella quale erano investiti tutti i capitali della famiglia Pirandello, compresa la dote della moglie di Luigi, Antonietta Portolano, che da quel momento – era il 1903 – entrerà in una spirale di follia dalla quale uscirà solo con la morte. Qualche anno più tardi, riferendo di sé in una lettera autobiografica a Filippo Sùrico, scrive: Come vede, nella mia vita non c'è niente che meriti di essere rilevato: è tutta interiore, nel mio lavoro e nei miei pensieri che… non sono lieti.
Pirandello accenna, poi, a “un pessimismo o uno scetticismo acquisito con lo studio”. Non si può non pensare immediatamente agli anni di studio in Germania, che non solo gli sono serviti a completare i suoi studi filologici con la conseguente laurea, ma che gli hanno permesso di conoscere di prima mano – grazie anche alla sempre più completa padronanza della lingua tedesca – i testi dei grandi autori romantici. Dalle esperienze della vita e da quelle dello studio, innestate sull'”innata o ereditata malinconia”, scaturisce la meditazione “su le sorti dell'umana esistenza, sul destino degli uomini”. In poche parole Pirandello ci indica come si è formato, perché lui è così come è. Subito dopo, però, come fosse preoccupato di venire frainteso, ci ammonisce che tutto questo - vale a dire “quella particolare disposizione dell'animo” - non basta a creare un'opera d'arte. Tale disposizione è solo il terreno adatto e preparato a ricevere il germe della creazione, poiché questa – la creazione artistica, appunto – è spontanea, si impone all'autore, non è frutto di ragionamento voluto, ma “si nutre dell'umore che trova”. Ne I giganti della montagna Pirandello fa dire al Mago Cotrone: “Basta che una cosa sia in noi ben viva, e si rappresenta da sé, per virtù spontanea della sua stessa vita”. Insomma: “perché ci sia l'arte, l'idea, pur presente, deve ridiventare sentimento”, ovvero “impulso che suscita immagini capaci di darle espressione vivente”.
Vediamo di approfondire la conoscenza dell'artista Pirandello isolando alcuni elementi del suo pensiero, cercando di capire come essi si siano formati, per soffermarci poi sul suo teatro e, in particolare, su quell'opera rivoluzionaria, quasi spartiacque del teatro moderno, che risponde al titolo di Sei personaggi in cerca d'autore. Siccome tra gli elementi della formazione del suo pensiero cita “le considerazioni su le sorti dell'umana esistenza”, allora possiamo cominciare col chiederci: come conosce, Pirandello, la realtà umana che lo circonda e sulla quale esercita le sue considerazioni? In quale modo la coglie per poterle poi dare vita artistica? Fondamentalmente con due metodi o momenti diversi che, poi, vanno a costituire un unico processo, quello dell'umorismo, che possiamo considerare fondamento della sua arte. I due momenti sono quello dell'analisi e quello della riflessione. Essi gli permettono di cogliere nella realtà “i contrasti”: vale a dire le contraddizioni, le perplessità, la presenza irrisolta di opposizioni.
Fatto ciò si guarda bene dal tentarne un'armonizzazione; anzi, “fa radicare la sua arte proprio sulla dissonanza, sulla scissione”. L'umorismo, infatti, scrive Pirandello “… per il suo intimo, specioso, essenziale processo inevitabilmente scompone, disordina, discorda…”. L'umorista, sono sempre parole di Pirandello, è un uomo “… fuori di chiave… un uomo a cui un pensiero non può nascere, che subito dopo non gliene nasca un altro opposto, contrario”.
Questo è l'effetto del ruolo speciale che assume la riflessione nell'opera umoristica. Questa riflessione s'insinua acuta e sottile da per tutto e tutto scompone: ogni immagine del sentimento, ogni finzione ideale, ogni apparenza della realtà, ogni illusione. Perché la riflessione – pur presente in ogni processo di creazione artistica, anche se in modo nascosto, quasi silenziosa assistente – nell'umorismo si rende visibile e attiva, analizza e scompone il sentimento che ha dato origine all'impulso creativo, facendo sorgere da tale scomposizione un altro sentimento, questa volta nutrito, appunto, di riflessione: il sentimento del contrario.